Il Giudizio universale, fra santo e profano


Il "Giudizio Universale" è l'affresco dipinto in quattro anni all'inizio del sedicesimo secolo da Michelangelo Buonarroti per adornare il soffitto della Cappella Sistina. La bellezza dell'opera è pressoché riconosciuta in modo universale ed è difficile non rimanere a bocca aperta nell'ammirarlo.
Elena Lazzarini, una ricercatrice dell'Università di Pisa, l'ha studiato a fondo per scoprirne alcuni dettagli poco noti, portando alla luce un risvolto molto profano dietro ad uno dei dipinti sacri più famosi al mondo. Al centro delle sue attenzioni, infatti, sono i soggetti ai quali Michelangelo si sarebbe ispirato per la realizzazione dell'opera: corpi maschili e femminili visti nelle «stufe», una sorta di bagno turco in cui si praticavano anche salassi e massaggi, ma in un clima abbastanza promiscuo non troppo lontano da quello un bordello.
Qui l'artista si recava in compagnia di alcuni suoi colleghi (fra cui il Vasari che ha ne ha parlato in più testimonianze) e qui osservava i corpi per prenderne spunto per le sue opere. E' così che gli uomini del dipinto hanno spesso i muscoli tesi e volti dai quali trasuda fatica, esattamente come quelli dei manovali e facchini delle stufe nel pieno svolgimento del loro lavoro.
Nell'opera non mancano anche atteggiamenti osceni più adatti a quei luoghi che ad un dipinto, come un dannato che viene trascinato negli inferi dopo essere stato afferrato per i testicoli. Fra i beati, inoltre, non mancano abbracci e baci promiscui, a detta dell'esperta di probabile natura omosessuale.
Un promiscuità che non era passata inosservata alle gerarchie vaticane, al punto che dopo l'approvazione dei decreti Tridentini, l'opera rischiò addirittura la distruzione. A salvarla fu fortunatamente un intervento Daniele da Volterra, un allievo di Michelangelo, che dovette aggiungere i pantaloni ad alcune delle figure proposte per riportarle a quello che era ritenuto il desiderato decoro.
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