È guerra


Alle 17.45 di ieri i caccia francesi hanno sganciato le prime bombe in un raggio di 100-150 chilometri da Bengasi, così come comunicato dal presidente Nicolas Sarkozy immediatamente dopo la conclusione del summit tenutosi a Parigi. Alle forze in volo si è poi unita l'aviazione britannica, mentre dalle basi navali Stati Uniti e Gran Bretagna hanno iniziato a lanciare missili da crociera Tomahawk sul territorio libico. L'operazione, battezzata con nome di "Odissea dell'alba", coinvolge Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, a cui va aggiunta la partecipazione di Italia e Canada anche se non ancora coinvolti attivamente nei raid.
L'attacco è stato deciso dopo le contestate violazioni da parte di Muammar Gheddafi alla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu, risoluzione che Tripoli ha annunciato non considerare più valida poco dopo la mezzanotte di oggi.
In un messaggio audio il dittatore libico ha lanciato anche alcune minacce verso gli eserciti giunti in soccorso dei rivoltosi: «Il Mediterraneo è diventato un campo di battaglia, attaccherò obiettivi civile e militari».
Alla notizia dell'inizio della controffensiva occidentale contro il regime di Gheddafi sono state segnalate feste in piazza nelle città di Tahrir e di Tobruk. da più fonti, infatti, viene sottolineato come la popolazione risulti ormai stremata da anni di duro regime.

Una dittatura che non ha mancato di toccare anche la comunità omosessuale locale: nel Paese, infatti, i rapporti tra persone dello stesso sesso sono proibiti dalla legge e i gay non sono ammessi nell'esercito. Per dovere di cronaca, va sottolineato che più in generale ogni rapporto al di fuori del matrimonio è proibito (sia eterosessuale che omosessuale). A sottolineare, però, come i due rapporti non siano considerati in egual modo è la posizione presa dal Paese nel corso del dibattito sulla risoluzione per la depenalizzazione dell'omosessualità dell'Onu: il loro inviato precisò, senza misure, come per loro l'omosessualità non sia in alcun modo accettabile.
Anche se la causa omosessuale non ha nulla a che vedere con la guerra in atto, c'è chi lancia un allarme. Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay, sottolinea come «Nei Paesi della sponda meridionale del Mediterrano, del Medio Oriente, i diritti delle persone lgbt sono letteralmente ad un bivio: con il crollo dei vecchi regimi se le istanze di democrazia si consolideranno tutti ne trarranno beneficio, ma se si dovesse arrivare ad un affermarsi dell'integralismo islamico la situazione diventerà drammatica [...] Dal nostro punto di vista particolare vi è poi il timore che in aree dove comunque, tranne che in Tunisia, i diritti delle persone lgbt sono sempre a repentaglio e la loro condizione venga travolta da un'eventuale deriva integralista: abbiamo l'esperienza dell'Iran, dove la condanna a morte per i gay è invalsa».
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