Il codice penale del Regno di Sardegne ed il reato solo origliato




Siamo nel 1883. L'Italia è già unita e sul territorio nazionale -ad eccezione dei territori dell'ex Regno delle Due Sicilie- è vigente il codice penale del Regno di Sardegna. Fra le varie norme contenute c'è anche quella che riguarda la condanna dei cosiddetti "reati contro natura" (poi cancellata nel 1889 dall'introduzione del primo codice penale nazionale, il "Codice Zanardelli").
Ed è così che in quegli anni molti omosessuali finito in carcere perché considerati rei di aver commesso sodomia. Fra di loro anche un caso piuttosto particolare, il cui racconto fece scalpore e rimase negli atti fino a giungere ai nostri giorni.
Luigi De Barbieri e Antonio Marchese si erano recati in una stanza d'albergo e qui avevano iniziato a parlare, presumibilmente in modo un po' piccante. I loro discorsi, però, vennero uditi dall'ospite della stanza attigua che, convinto di averli colti in fragrante, chiese alla cameriera di avvertire la polizia. Gli agenti arrivarono sul posto ed arrestarono i due. Al processo di primo grado, tenutosi il 12 giugno di quell'anno, vennero condannati a tre anni di carcere.
Considerato che non vi erano testimoni oculari e che le accuse si basavano solo sui loro discorsi, i due decisero di far ricorso alla Corte d'Appello genovese che, però, confermò la sentenza. L'articolo a cui fecero riferimento i giudici è il 425 del Codice penale del Regno di Sardegna: "Qualunque atto di libidine contro natura, se sarà commesso con violenza, nei modi e nelle circostanze prevedute dagli articoli 489 e 490, sarà punito colla reclusione non minore di anni sette, estensibile ai lavori forzati a tempo; se non vi sarà stata violenza, ma vi sarà intervenuto scandalo o vi sarà stata querela, sarà punito colla reclusione, e potrà la pena anche estendersi ai lavori forzati per anni dieci, a seconda dei casi".
De Barbieri decise di far ricorso al terzo grado di giudizio e delegò il proprio avvocato di rivolgersi alla Corte di cassazione di Torino. La loro linea difensiva si basava sul fatto che il tutto fosse avvenuto in un luogo privato e, inoltre, non essendoci stata penetrazione fra i due imputati il tutto si sarebbe dovuto ricondurre ad un tentato reato contro natura e non della sua attuazione (secondo quanto stabilito dall'allora articolo 323 del codice di procedura penale).
La corte rigettò il ricorso, sostenendo che "l'articolo 425 punisce l'atto contro natura a prescindere dal pubblico o privato. Vi fu scandalo in quanto quel fatto fu avvertito per discorsi fra il ricorrente e l'altra persona da un altro che ha affittato in attigua stanza e dai quali poté comprendere l'atto turpissimo che fra essi si commetteva e si determinò ad avvisare la cameriera e il padrone per farli cessare, come avvenne, facendo questi intervenire, a proposito, il delegato di pubblica sicurezza: onde è chiaro che per quel fatto costituisse offesa al senso morale di chi lo conobbe, si verificò lo scandalo a cui accenna l'articolo 425 sopra citato e che la Corte poteva rettamente aver avuto luogo".

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