È morto il ragazzo cileno torturato perché gay


Dopo oltre un mese di coma, Daniel Zamudio si è spento presso l'ospedale Posta Central di Santaigo del Cile. Lo scorso 3 marzo il ragazzo 24enne era stato vittima di un aggressione omofoba presso un parco cittadino.
Quel giorno Daniel non stava facendo nulla di particolare e stava semplicemente dormendo su una panchina. Ma era gay e tant'è bastato perché quattro neonazisti (tre intorno ai 25 anni e uno di 19) decidessero di aggredirlo e torturarlo per oltre sei ore. Il tutto in un parco vigilato da guardie e vicino a un posto di polizia.
Le sevizie subite dal giovane sono da pelle d'oca: lo hanno preso a calci e pugni, gli hanno staccato un orecchio, gli hanno inciso svastiche sul corpo utilizzando i cocci di una bottiglia di vetro che gli avevano precedentemente spaccato in testa, gli hanno bruciato una gamba e gli hanno lasciato cadere pietre sull'addome e sugli arti inferiori sino a spezzarne uno.
Una simile brutalità ha scioccato il Paese e sono state molte le manifestazioni di solidarietà svoltesi in Cile e in alcune cittadine estere. Gli aggressori sono stati identificati e fermati. Ora, dopo la morte del giovane, rischiano 40 anni di reclusione per omicidio.
Va detto, però, che nei territori sudamericani vige una cultura secondo la quale i gay possono tranquillamente essere disprezzati, derisi in pubblico o aggrediti. Non mancano nazioni dove l'omosessualità è addirittura vietata e punita per legge o dove c'è una vera e propria promozione dell'odio verso i gay (come nel caso della Giamaica dove noti cantanti non si fanno problemi a scrivere testi omofobi o ad incitare all'eliminazione fisica di quelli che definiscono "portatori dell'infezione omosessuale").
E, proprio per questo, dopo la commozione deve necessariamente venire il tempo dell'azione. Sarebbe troppo facile commuoversi davanti all'orrore di quelle sevizie, costate la vita a Daniel, ed accontentarsi dell'arresto degli esecutori materiali senza preoccuparsi dei loro mandanti morali. Se un fatto simile si è potuto verificare è anche perché c'è chi ha permesso e alimentato un certo tipo di cultura.
Di questo parere è anche Jaime Parada, il portavoce del Movilh (il movimento di integrazione e liberazione omosessuale cileno), che in un'intervista rilasciata a El Mostrador ha affermato che Daniel «è una vittima dell'intolleranza, dell'omofobia e dell'odio che certe persone coltivano» e che coloro che non hanno voluto una legge antidiscriminazione «sono i primi discriminatori».

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