La fucina dell'odio


Non si placano le polemiche che riguardano il volantino affisso dal parroco di Lerici (La Spezia) nella bacheca della sua parrocchia, nel quale si attribuivano alle donne stesse molte colpe del femminilicidio.
Sul caso è anche intervenuto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che ha definito l'accaduto: «Una cosa grave e triste». Pare che il parroco verrà ora trasferito, anche se la scelta di fargli continuare la propria missione da un'altra parte può anche apparire come una modalità per proteggerlo dal clamore mediatico in cui è incappato.
Sui media nazionali, però, viene spesso dimenticato un particolare. A scrivere quell'articolo non è stato il parroco ma un sito cattolico chiamato Pontifex.Roma. Si sa che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Ed è così che viene naturale domandarsi se tale omissione non possa dipendere dalla volontà di togliere dall'imbarazzo tutti quegli alti prelati e quei politici di centro destra che hanno a lungo avvalorato le tesi del sito con le loro interviste.
Dal canto suo il direttore del sito, Bruno Volpe, continua a ribadire la sua tesi attaccando chiunque osi contestarla: annuncia di aver sporto denuncia per diffamazione contro la Repubblica ed altri quotidiani, nonché di voler ricorrere al garante per domandare giustizia. In un articolo afferma addirittura che: «Al posto di questi giornalisti da ... io non uscirei più di casa per la vergogna. Parlano di cose di Chiesa e basta leggere i loro articoli di menzogne e falsità per capire che violano parecchi comandamenti di Dio, che tristezza, è proprio il caso di ricordare che non bisogna "dare le perle ai porci"».
Per la prima volta il direttore prova anche a smentire le voci di un suo possibile arresto per stalking, affermando che «Il dottor Volpe smentisce ogni rapporto con circoli o reti neo naziste o di spargere odio. In quanto allo stalking, smentisce ogni condanna e precisa di essere parte lesa in procedimento per violenza privata dove è imputata la "tormentata ragazza"».
Ma se l'integralismo di Volpe è ben noto -in particolar modo alla comunità gay che da anni è vittima dei suoi attacchi- fa sorridere che un uomo simile possa sentirsi diffamato dopo aver pubblicato nelle ultime ore articoli come «Diffamano Don Corsi e sono guidati dal diavolo», «Mons. Appignanesi: Vendola? Vive da depravato, idolatra del suo istinto. Delinque contro Cristo Nostro Signore», «Mons. Sprovieri: Cinvineza gay? Depravazione. Atei, strumenti di satana». Queste non sono forse articoli ben più diffamatori ed inneggianti alla violenza? Dov'è la diffamazione nel contestare teorie assurde come la negazione stessa dell'esistenza del femminilicidio (definito sul loro sito come «una assurda leggenda nera messa in giro da femministe senza scrupoli»)?

Ancor più grave, però, è un'altro fatto. Se si può comprendere l'esistenza di un gruppo di integralisti cattolici che predicano odio in nome di Dio, molto meno comprensibile è il seguito che riescono ad ottenere. Volpe parla di 50mila visite giornaliere, almeno un parroco (ma chissà quanti altri) ha ritenuto di dover diffondere il loro pensiero sulla bacheca della chiesa e molti prelati e politici si sentono di casa nel farsi intervistare e nel sfruttare le loro pagine per lanciare i propri anatemi verso gay, islamici ed ora anche donne.
Ad esempio c'è Domenico Scilipoti (già noto per altre sue interviste omofobe) che è accorso a prendere le difese del parroco di Lerici. In un'intervista rilasciata a Pontifex.Roma afferma: «Ha ragione, credo che con questa storia del femminicidio si stia esagerando, si esasperano i toni. Ci si dimentica magari di quanti bombi vengono abortiti da donne e sono molti di più delle donne uccise. Forse sarebbe il caso, come propongo, di rivedere in modo più restrittivo la 194. Certo, se le donne a volte evitassero condotte o atteggiamenti meno provocanti tante tragedie si eviterebbero. Anche se lo ribadisco, all'omicidio non esiste mai giustificazione». Ed ancora: «piena solidarietà [al parroco], ha svolto il suo lavoro pastorale, con zelo e non vedo nulla di scandaloso».
Alla sua voce si è poi aggiunta quella del giudice Carnevale (già noto per le sue idee sin dai dai primi anni ottanta, quando si schierò apertamente contro le attività del pool antimafia, definendoli dei "giudici sceriffo"): «Che in Italia troppe donne siano vittima di violenza in famiglia è vero e bisogna prendere dei provvedimenti. Ma la categoria femminicidio non esiste, fa ridere. Perché ogni delitto ai sensi dell' art 3 della Costituzione che ci rende uguali in tutto, va punito senza badare al sesso. Dunque l' assassinio di un uomo è uguale a quello di una donna».

A questo punto il problema non sono più le idee folli e ricolme d'odio di un uomo, ma un gruppo di persone che le condivide e le appoggia, ricoprendo anche ruoli decisionali che appaiono in netto contrasto con tesi integraliste o negazioniste. C'è libertà di parole -è vero- ma è possibile che tale libertà esoneri dalle responsabilità di ciò che si dice?
7 commenti