Il Cremilino dichiara guerra ai tatuaggi delle reclute, possibile indicatore della loro omosessualità


Dopo l'approvazione in prima lettura da parte della Duma di una norma contro la cosiddetta «propaganda omosessuale», il Cremlino ha deciso di dichiarare guerra anche ai tatuaggi delle nuove reclute dell'esercito, sostenendo che questi potrebbero essere indicatori di una loro possibile omosessualità.
Ed è così che, in nome della promozione dei valori tradizionali e con l'immancabile appoggio della Chiesa Ortodossa, le autorità hanno introdotto delle nuove linee guida che prevedono un'interrogazione delle reclute in merito alle loro passate esperienze sessuali ed un attento esame fisico alla ricerca di tatuaggi (con particolare attenzione a quelli collocati vicino al viso, sui glutei o in prossimità degli organi genitali). Il tutto prendendo spunto da un testo militare di psicologia pubblicato nel 2005, secondo il quale «il motivi che inducono le persone a farsi dei tatuaggi potrebbero indicare una cultura bassa o livello di istruzione infimo» e, se in prossimità delle aree indicate, ne potrebbero indicare anche possibili deviazioni sessuali.
Se da un lato gli ufficiali hanno già bollato il provvedimento come di «difficile attuazione», dall'altro appare chiaro l'intendo di utilizzarlo come specchio per le allodole per distogliere l'attenzione dai reali problemi. Infatti, secondo uno studio condotto nel 2007 dalle Nazioni Uniti, in Russia risulta molto elevato il numero di soldati che si prostituiscono (in alcuni casi volontariamente, in altri sotto imposizione). I motivi, però, sarebbero da ricercarsi nei salari bassi, spesso insufficienti anche solo per un degno sostentamento. Un fenomeno che ha avuto inizio dopo il crollo dell'Unione Sovietica, quando in molti casi le paghe iniziarono ad essere saltuarie ed i militari si ritrovarono costretti ad arrangiarsi per sopravvivere (a volte con anche la messa in vendita "abusiva" di beni dell'esercito o con altre attività non propriamente legali).
Evidentemente, però, lo stato preferisce dare la colpa ai gay piuttosto che assumersi le proprie responsabilità per la situazione odierna.
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