Il triangolo rosa


Si celebra oggi la Giornata della memoria, un'occasione per ricordare una delle pagine più oscure della storia moderna e per impedire che gli errori del passato possano essere ripetuti. Una memoria da urlare con forza a fronte di quanti pensano che possa bastare il negazionismo o il relativismo per poter riproporre un modello di esaltazione della persona sulla base di appartenenza religiona, colore della pelle o orientamento sessuale.
È di difficile, ad esempio, non pensare all'assurda legge anti-gay in discussione in Russia o alle continue esecuzioni perpetuate nei Paesi che ancor oggi reputano l'omosessualità un reato. Ma anche a casa nostra le cose non vanno certo meglio, con un numero sempre crescente di soggetti pronti ad urlare in piazza il loro sentirsi migliori degli altri. Proprio a loro va ricordato che un simile atteggiamento può portare solo verso conseguenze drammatiche, come in passato furono l'olocausto o l'omocasto.
In epoca fascista, infatti, in Germania venne approvato il famigerato paragrafo 175 del codice penale, secondo il quale «un uomo che ricopre un ruolo attivo o passivo in affettuosità con altri uomini è punito con la reclusione». Ciò portò numerosi gay ad essere imprigionati o condotti nei campi di concentramento sulla base del loro orientamento sessuale.
Per riconoscerli, i nazisti gli imposero un distintivo raffigurante un triangolo rosa, colore scelto per scherno nei loro confronti. Alle lesbiche internate, invece, vennero consegnate divise contrassegnata con il triangolo nero delle "asociali". È questo il motivo per cui, una volta nato il movimento di liberazione omosessuale, quel simbolo venne rivendicato ed utilizzato come simbolo politico della comunità gay.
La storia ci ricorda che, anche al termine della guerra, ai gay non vennero riconosciuti i propri diritti e, contrariamente a quanto avvenne per le vittime ebree, il governo tedesco non risarcì mai i "triangoli rosa". Anzi, chi continuò a dichiararsi apertamente gay venne nuovamente imprigionato anche dopo il nazismo, come nel caso di Heinz Dörmer che subì complessivamente 20 anni di reclusione (prima nei campi di concentramento nazisti e poi nelle carceri della Repubblica Federale Tedesca) o come Helmut Corsini che dal campo di Buchenwald passò direttamente alle carceri nazionali. L'emendamento nazista al paragrafo 175, infatti, restò in vigore per ben 24 anni dopo la fine della guerra.
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