Il parlamento moldavo ha abrogato la sua legge contro la «propaganda omosessuale»


91 giorni. È stata questa la durata della legge moldava contro la cosiddetta «propaganda omosessuale» entrata in vigore lo scorso luglio. Presumibilmente sulla scia della vicina Russia, il parlamento la votò in sordina, facendo di tutto per non parlarne mai in pubblico sino a quando i giochi non erano stati fatti.
La norma metteva in un unico calderone l'omosessualità, la prostituzione, la pedofilia e la pornografia, vietando la diffusione di informazioni positive su tali temi o su qualsiasi altra forma di relazione diversa dal matrimonio tradizionale.
Presumibilmente è stata la volontà di iniziare le trattative per l'ingresso nell'Unione Europea hanno spinto il governo a fare marcia indietro e a ritirare una legge fortemente criticata da Bruxelles. La decisione, però, non è piaciuto né alla Russia, né alla Chiesa Ortodossa che ha organizzato manifestazioni dinnanzi al parlamento per chiedere che la norma omofoba resti in vigore come tutela per il loro credo religioso.
Curioso è come un recente sondaggio abbia sottolineato che Vladimir Putin risulta al primo posto nella classifica dei personaggi mondiali che ispira maggior fiducia ai cittadini moldavi, con oltre il 70% delle preferenze. Un dato che la dice lunga su come la popolazione sia poco sensibile ai diritti delle minoranze.
Nel frattempo anche il loro personaggio preferito non ha vita semplice in patria: nonostante i divieti alla libera espressione, alcuni atleti russi hanno deciso di prendere posizione contro le leggi anti-gay volute da Putin e si sono fatti fotografare con un bavaglio in bocca che simboleggia l'assenza della libertà di parola. Una risposta coraggiosa e bella a quanti in questi mesi si sono domandati come fosse possibile che in patria nessuno dicesse nulla contro quelal situazione insopportabile: ora, anche a rischio di finire in carcere, qualcuno ha iniziato a voler manifestare il proprio dissenso da una norma populista che colpisce una minoranza al solo fine di coprire le mancanze dell'esecutivo.
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