Avvenire dice «no» ad un uso corretto e rispettoso dei termini che riguardano i gay


«La bella notizia è che l'Ordine sul suo sito non ha fatto proprie tali "linee guida", stilate da 29 associazioni tutte di settore. La cattiva è che ha dato il patrocinio al discutibilissimo documento che ipertutela lesbiche e gay rispetto agli eterosessuali e a qualsiasi altra categoria di esseri umani». Così Avvenire commenta le "Linee guida per un'informazione rispettosa delle persone LGBT" pubblicate dal Dipartimento per le Pari opportunità e dall'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali al fine di invitare i giornalisti ad un uso corretto del linguaggio «per combattere qualsiasi forma di espressione che possa essere ragionevolmente compresa come elemento suscettibile di fomentare, propagandare o promuovere l'odio o altre forme di discriminazione nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali». Un concetto che il quotidiano cattolico non esita a definire «contrari alla fede o al libero pensiero, o persino alla Costituzione».
Ma cosa viene detto di così sconcertante?
Il documento invita a non confondere il sesso e genere: il primo riguarda gli apparati genitali, il secondo è l'insieme di «elementi psicologici, sociali e culturali che determinano l'essere uomo o donna». In riferimento alle lesbiche si chiede che non siano i termini «gay», «omosessuale» o «donna gay»; così come si invita a non utilizzare l'aggettivo «saffico» che richiama «atmosfere lascive e seducenti, adatte a stuzzicare anche il lettore maschio». Nel caso di transessuali, invece, l'invito è ad utilizzare il maschile o il femminile in modo «coerente con l'espressione di genere», così come si chiede evitare associazioni linguistiche che portino a pensare che tutti i transessuali si prostituiscano.
Ai giornalisti viene chiesto di fare il giusto distinguo fra «outing» e «coming out» (nel primo caso l'omosessualità viene rivelata da terzi senza il consenso del diretto interessato, nell'altro una persona decide di dichiararsi gay).

Secondo il documento, inoltre, «è bene ricordare che diritto delle persone omosessuali ad avere una famiglia e alla non discriminazione sulla base del proprio orientamento sessuale è sancito a livello europeo dalla Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo», motivo per cui bisognerebbe evitare di bollare le unioni gay come «una minaccia alla "famiglia tradizionale", come "contro natura" e come "sterili", "infeconde"». Allo stesso modo si chiede di non far ricorso a termini diversi da «famiglia» laddove l'istituto giuridico preveda il matrimonio egualitario: definizioni come «famiglia gay» o «famiglia omosessuale» non fanno che aggiungere dei distinguo che giuridicamente non esistono.
Due concetti su quali Avvenire dà il meglio si sé, incollando frasi provenienti da capitoli diversi e riportando domande tramutate in affermazioni al solo fine di sostenere che il documento voglia imporgli di dire che il «matrimonio» e il«matrimonio gay» siano concetti coincidenti. E questo immediatamente prima di asserire: «Guai a dire le cose come stanno: è vero che se due gay desiderano procreare devono affidarsi all'utero di una donna che ospiti lo sperma di uno dei due e l'ovulo di un'altra donna ancora» a fronte di un capitolo che chiede semplicemente di non fare confusione fra «adozione» «gestazione di sostegno» o «maternità surrogata».
L'ultimo affondo del quotidiano è verso l'asserzione secondo cui non è detto sia sempre necessario invitare una persona pronta a criticare la comunità lgbt ogni qualvolta qualcuno ne parli in modo positivo.

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