Uganda: lo stato preannuncia un ricorso per salvare la legge anti-gay


Dopo la sentenza che ha annullato la norma anti-gay approvata dal parlamento Ugandese lo scorso febbraio, il Governo ha già annunciato che farà ricorso.
La norma introduceva 14 anni di carcere per i gay, l'ergastolo per i «recidivi» e l'obbligo di denunciare eventuali persone sulla base del loro orientamento sessuale, mentre il suo annullamento è stato legato a modalità di voto illegali effettuate in assenza del quorum necessario.
Soprattutto grazie all'aumento delle confessioni cristiane evangeliche di ispirazione americana, l'omofobia è molto ancorata nella popolazione è c'è una diffusa credenza che basti guardare o sfiorare un gay per diventare omosessuali (la stessa teoria che alcuni gruppi cercando di propagandare anche in Europa, seppure con minor efficacia grazie ad un maggior grado di istruzione).
La Corte Costituzionale sarà dunque tirata in causa per esprimersi sulla validità della norma, mentre il procuratore dello Stato insiste che sia valida perché espressione del volere popolare.

Nel frattempo il noto pastore anti-gay Martin Ssempa ha iniziato a sobillare le folle parlando di una «cospirazione governativa» in occasione dell'imminente viaggio del presidente Museveni a Washington. Il religioso ha sostenuto che l'annullamento della norme sia stata dettata solo da motivazioni diplomatiche, aggiungendo: «Ci chiediamo perché i giudici religiosi più conservatori che sappiamo amare la famiglia, come Remy Kasule ed altri, non sono chiamati a decidere. Ci dobbiamo domandare se davvero il nostro paese sia indipendente ed intendiamo chiedere al parlamento di indagare sull'indipendenza della magistratura».
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