La difficile situazione carceraria delle persone transessuali


Il carcere è un'esperienza difficile per tutti, ma può esserlo ancor di più per le persone transessuali. Il carcere è spesso in grado di ampliare i problemi già preesistenti nella società libera ed un sistema al collasso si dimostra spesso inadeguato alle esigenze delle minoranze e al raggiungimento della sua finalità di reinserimento dei detenuti.
Il transessualismo non viene riconosciuto e le le trans vengono spesso recluse negli istituti maschili o in reparti speciali separati per detenuti "a rischio" insieme ai collaboratori di giustizia e ai pedofili. Nel 2010 ad Empoli si avviò un progetto per la costruzione di un carcere dedicato esclusivamente alle detenute transessuali, ma l'allora ministro della giustizia Angelino Alfano decise di bloccare l'iniziativa.
A ciò si sommano i problemi pratici, come l'impossibilità di ottenere un permesso di soggiorno da parte di molte transessuali di origine sudamericana o il mancato riconoscimento dei legami sentimentali delle carcerate transessuali (motivo per cui il compagno o compagna non avrà alcuna possibilità di poter richiedere l'ammissione ai colloqui, così come avviene per i detenuti eterosessuali).

Da pelle d'oca è una lettera di una transessuale brasiliana 33enne, diffusa su internet da RistrettiOrizzonti e Radiocarcere:

«Io quando ero libera mi prostituivo. Non ero contenta della vita che facevo, ma dovevo pagare chi dal Brasile mi aveva fatto arrivare in Italia. Un uomo, a cui dovevo i soldi di quel viaggio, che mi picchiava e che abusava di me. Ero esasperata da quella vita. Una notte ho reagito a quegli abusi e a quelle botte, l'ho ferito e lui purtroppo è morto. Mi hanno processata, mi hanno giustamente condannata, ma poi per me si è aperta la porta del carcere. Un carcere assai lontano da quella "giustizia" che mi aveva condannato. Per un transessuale il carcere appare subito come l'inferno.La diversità che ti porti appresso è amplificata. Difficile anche trovarti un posto. Non nella sezione maschile. Non nella sezione femminile. Ma nella sezione peggiore: quella degli infami, dei pedofili ovvero quella, appunto, dei trans. Per parecchio tempo ho diviso la mia cella con altre transessuali. Persone che erano in carcere da diversi anni e che erano segnate nel corpo e nella mente dalla disperazione. In quella cella c'era chi si tagliava la braccia, chi si drogava o chi negli occhi non aveva più la voglia di vivere. Come Samanta, anche lei transessuale. Da tempo Samanta stava male con i polmoni. Spesso aveva delle crisi respiratorie, ma per lei erano rare le cure mediche. Piano piano Samanta si è lasciata andare, si è abbandonata. Ha iniziato a bere vino mischiato con gli psicofarmaci. Tutti sapevano quello che si faceva Samanta. Nessuno ha fatto nulla per lei. Una mattina ho trovato Samanta in bagno. Per terra in una pozza di sangue. Si era tagliata le vene e l'aveva fatta finita. Oggi mi è chiaro. La pena in carcere per un transessuale è la sua diversità. Una diversità a cui il carcere non è preparato. Se già mancano educatori o assistenti sociali per i detenuti comuni figuratevi per noi! Se in carcere non c'è possibilità di lavorare se sei ”normale”, può esserci per chi è considerato uno strano animale? Per queste ragioni la vita in cella di un transessuale è ai limiti del possibile e lontano da ciò che si può immaginare. Dicevo prima del prezzo da pagare in carcere se sei transessuale e se vuoi sopravvivere. Bene il prezzo è il sesso. I tuoi clienti gli agenti, o meglio alcuni di loro. Ora voglio essere chiara. Tantissimi agenti sono bravi e sono i veri agenti, ovvero quelli che lavorano secondo la legge e per le persone detenute, anche se transessuali. Purtroppo tra questi c'è chi si approfitta della loro posizione di potere. Se in sezione ti capita di turno un agente così, tu sei finita. Per tanti mesi io ho provato a resistere alle loro richieste. Arrivavano di notte, mentre dormivo e mi dicevano «Oh, puttana! Che fai dormi? Svegliati e fammi una p.», oppure «fammi toccare una tetta, magari così ti porto da mangiare». Una notte ho risposto male a un agente che mi chiedeva di fare sesso. Lui mi ha fatto rapporto, io ho raccontato l'episodio al comandante ma non sono stata creduta. Morale mi hanno punito. Da quel giorno, quando mi chiedevano di fare sesso io lo facevo.
Così è iniziato un lungo periodo in cui io, come tante altre trans, acconsentivamo a rapporti sessuali. Insomma presto mi sono resa conto che mi ero liberata da uno sfruttatore ed ero finita nelle mani di altri. Avrei preferito tornare sul marciapiede. Perché c'è un margine di scelta nella prostituzione. Ma quando sei in carcere tu quel margine non ce l'hai. In carcere o fai sesso oppure la tua vita diventerà impossibile. In carcere sono dovuta scendere ancora più in basso di quando facevo la puttana.

Via: Il Garantista
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