Campagne d'odio


Pare proprio che una parte politicizzata della stampa sia focalizzata nel tentare di alimentare quanto più odio sociale possibile nei confronti dei gay. Nelle loro pagine i gay non sono persone, sono un'entità unica da insultare, denigrare e condannare nel nome di una mal interpretata libertà di espressione.
A stupire, però, è come non ci si faccia problemi nel lanciarsi persino in titoli ideologici che vengono tranquillamente contraddetti dal testo.

Ne è esempio l'articolo apparso sulle pagine de Il secolo d'Italia ed intitolato "Provocazione gay alla festa religiosa: «San Patrizio era omosessuale»".
Un simile titolo lascerebbe tranquillamente presumere che un qualche attivista sia intervenuto violentemente nel bel mezzo di una celebrazione liturgica, ma in realtà il tema è un altro: si sta parlando della festa popolare di San Patrizio svoltasi per le vie di New York. In quell'occasione tutte le associazioni irlandesi sono state invitate a sfilare e a rivendicare le proprie origini, sfoggiando abiti verdi e trifogli (simboli d'Irlanda e non certo religiosi). Tra loro, però, l'unica assente è la comunità gay dato che l'arcivescovo Timothy Dolan è da sempre capofila di una coalizione che chiede che a loro non vanga permesso di rivendicare le proprie origini dato che si vuole far passare l'immagine di una nazione in cui l'omosessualità non esista.
Rifiutati per anni, un gruppo di gay ha mostrato uno striscione striscione con la scritta: «Chi ha detto che San Patrizio era etero?».
Non solo nessuno di loro ha affermato che il santo fosse gay così come sostenuto dal titolo dell'articolo, ma è evidente come si sia semplicemente chiesto da dove giunga tutta quella sicurezza nel sostenere che le figure nazionali debbano necessariamente essere eterosessuali. Una domanda più che lecita, dunque, ma il quotidiano non manca di bollarla come «una provocazione», quasi a sottintendere che i gay sono persone cattive ed è quindi ovvio che i santi siano necessariamente eterosessuali.

Peggio ancora è riuscito a fare Panorama. Il prossimo numero si aprirà con il titolo "Gay contro gay". Il riferimento è alla polemica nata dalle affermazioni rilasciate sulle loro pagine da Dolce e Gabbana ed è così che si è fatta molta attenzione a non sottolineare come numerosissimi eterosessuali abbiano protestato contro quelle parole.
Ma forse l'attribuzione della protesta a parte della società civile non gli avrebbe consentito di risultare altrettanto efficaci nel puntare il dito contro un gruppo ben specifico, verso il quale non si sono trattenuti dal lanciare accuse diffamatorie e violente: «Nei confronti di Dolce e Gabbana è partita una furibonda campagna di delegittimazione senza confine, da Elton John a Sharon Stone. La loro colpa? Avere espresso un'opinione politicamente non allineata su omosessualità e paternità. Una censura che ricorda nei toni quella dei regimi totalitari e oscurantisti».
Ecco dunque che l'insulto viene descritto come un'opinione e chiunque non sia allineato alla linea politica del loro giornale viene accomunato con i peggiori regimi. Ed è così che le vittime vengono tranquillamente additate come dei colpevoli dato che non sono rimaste zitte e ferme dinnanzi ad un insulto ai loro figli e ai propri affetti.

Accostando i due articoli si nota anche come il chiedere conto della propria sicurezza sull'eterosessualità di un santo sia «una provocazione», l'offendere gli affetti e i figli altrui sia «un'opinione». Due pesi e due misure che sottolineano tutta l'ipocrisia di chi utilizza parole populiste al solo fine di rivendicare la supremazia del proprio pensiero e la necessità di impedire un contraddittorio.
Se poi si considera come negli Stati Uniti si stiano introducendo aberranti norme volte a premettere ai commercianti cristiani di poter rifiutare beni e servizi ai gay, fa sorridere come da quel pulpito giunga una critica verso degli acquirenti che si vorrebbero privare del diritto di poter scegliere da chi acquistare i propri indumenti.
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