Caserta Sette: «L'omosessualità è naturale? Anche i pedofili sostengono sia naturale»

«Arrestato il parroco (prete maschio) che collezionava foto nude di bambini e ragazzini: pedofilia intrecciata a omosessualità». È con queste parole che Caserta Sette ha dato notizia dell'arresto di Don Dino, il sacerdote romano che è stato trovato in possesso di 1.700 immagini pedopornografiche custodite sul suo computer. L'uomo si era giustificato dicendo che aveva scattato quelle foto per aiutare i ragazzi a sfondare nel cinema a luci rosse.
Inevitabilmente salta subito all'occhio l'indegno parallelismo che viene fatto fra pedofilia ed omosessualità. Un paragone che la scienza rigetta dato che un pedofilo non è necessariamente gay: nel caso dei preti pedofili si è dinnanzi a persone socialmente immature che si identificano con il minore oggetto delle loro attenzioni dato che non hanno occasione avere di intimità con le donne.A riprova di ciò, le statistiche parlano di violenze che includono la penetrazione solo nel 3% dei casi.
Tanto basta per capire come la notizia di Caserta Sette sia stata formulata far credere ad una riprovata falsità. Ma dinnanzi a chi gli ha fatto notare la cosa, rispondono: «Ma quando mai. È statistica». Insomma, insistono.
Poi, parlando delle vittime del sacerdote (bambini rom che venivano sfruttati sessualmente per pochi euro data la loro condizione economica) Caserta Sette si lancia nell'affermare: «Ci sono minori che manifestano la loro omosessualità già in età di minore». Se la frase è di difficile compressione, l'impressione è che si voglia sindacare sull'orientamento sessuale dei ragazzini quasi non si trattassero di vittime ma di predatori sessuali alla ricerca di sacerdoti.
Ormai presa la strada della mistificazione e dell'ignoranza, a chi gli ha fatto notare come la pedofilia sia una malattia al contrario dell'omosessualità (una naturale variante dell'orientamento sessuale che coinvolge adulti consenzienti), Caserta Sette risponde: «E pensare che anche i pedofili sostengono sia naturale».
Fioccano poi insulti a vari utenti e si arriva a chiedere che sia contemplato «il reato di eterofobia» per punire chi non resta in silenzio dinnanzi alle loro parole ìd'odio. Non manca poi il solito sostenere che non gli si voglia permettere di esprimere «opinioni e pensieri liberi», salvo poi mostrarsi pronti a bloccare gli accessi di chi contesta quelle tesi omofobe.
Ma chi c'è dietro a Caserta Sette? Il sito si presenta come una cozzaglia di notizie immerse i un mare di pubblicità elettorale, presentando Biagio Salvati come direttore dei servizi giornalistici. Una ricerca su quel nome ci riporta invece ad un'intervista di Tempi, dove Salvati viene presentato come «una nota firma della cronaca giudiziaria campana e direttore del sito Casertasette.it». In quell'occasione il sito ciellino gli aveva dato parola per scagliarsi contro Saviano, «che in pubblico si è sempre lanciato in difesa della libertà di pensiero e parola e in privato, invece, nel 2008, ha querelato Salvati e un altro cronista della giudiziaria casertana per degli articoli apparsi sul sito Casertasette.it».
Anche in quel caso, dunque, la presunta diffamazione veniva rivendicata come la libertà di parola. Riguardo alla denuncia, Salvati affermava che «quando mi è stata notificata ufficialmente la querela, ho scoperto che in realtà gli articoli per cui mi aveva citato erano tratti da Dagospia. Li avevo semplicemente ripubblicati su Casertasette specificando la fonte. Niente di particolarmente offensivo, intendiamoci».
Altre fonti parlano di articoli come "San Saviano, nuovo libro salverà Mondadori ma è sgrammaticato", "Saviano in ospedale a Caserta per il nuovo libro? Direttore: Mai visto" e "Saviano in Gomorra ha scritto molte cazzate". Ma soprattutto raccontano di come un giudice dell'ottava sezione penale del Tribunale di Milano abbia rigettato la richiesta di archiviazione presentata dai legali di Salvati prima di disporre il trasferimento del fascicolo a Santa Maria Capua Vetere. C'è da chiedersi davvero non ci fosse altro in quelle denunce dato che dinnanzi ad un semplice equivoco (così come suggerirebbe l'articolo di Tempi) un giudice avrebbe probabilmente accolto la richiesta di archiviazione.
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