Ecco come Luca Di Tolve vuole "guarire" i gay dall'omosessualità


Luca Di Tolve non ha certo bisogno di presentazioni. È un personaggio che sostiene di essere "guarito" dall'omosessualità e che ora dedica ogni suo sforzo al tentare di far credere che anche tutti gli altri gay debbano necessariamente seguire la sua strada di rifiuto verso sé stessi. È anche l'idolo dei cattolici dato che le sue posizioni vengono spesso utilizzate per legittimare gli atteggiamenti più intolleranti e violenti da parte di gruppi omofobi ed integralisti cattolici. Ha fondato un proprio gruppo che pratica e propaganda le cosiddette terapie riparatevi: pratiche che la scienza ritiene inefficaci e pericolose anche se la Chiesa è in prima fila nel difenderle, quasi come se per loro la vita di un ragazzo gay non valesse nulla di fonte alla difesa di un pregiudizio. Ma ciò che non era affatto chiaro è cosa avvenisse là dentro.

A svelarcelo è un'inchiesta condotta da Repubblica, nella quale un giornalista si è finto gay per poter entrare nella tana del lupo. Versati 185 euro (a cui era poi possibile aggiungere l'acquisto di riviste e dvd da studiare una volta tornati a casa) e forniti i documenti che potessero permettere al gruppo di verificare la storia dei partecipanti (giusto per evitare che un qualche orecchio indiscreto potesse accedere ai loro corsi), si veniva accolti in una casa di spiritualità nei pressi di Boario terme, gestita da Di Tolve insieme alla moglie e di proprietà della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth.
Tra i partecipanti c'erano Sentinelle in piedi ed ex estremisti di estrema destra, tutti accomunati da una difficoltà nell'accettarsi dato che gli ambienti frequentati sono notoriamente omofobi e poco inclini all'accoglienza.

Il programma prevedeva cinque giorni di messe, canti, preghiere, invocazioni dello spirito santo, confessioni, meditazioni con la luce spenta e soprattutto slide e lezioni dai titoli tipo "I meccanismi della confusione sessuale", "Narcisismo e idolatria relazionale" e così via. Il tutto orientato a "guarire" da quella "ferita" che loro sostengono sia l'essere gay.
Il tutto era condotto da tre persone che si facevano chiamare "leader" (tra cui Di Tolve), affiancati da un frate francescano (don Enrico) e da un padre passionista (don Massimo). Si partiva ogni mattina alle 7.45 con la messa del mattino e si tiravano le 22.30 attraverso la ripetitività di azioni e, soprattutto, dei messaggi.

«L'omosessualità non esiste e voi non siete gay, siete solo persone che hanno un problema» è la posizione sostenuta da Di Tolve. Secondo lui, «i bisogni insoddisfatti causano il danneggiamento della sessualità e della sfera relazionale» e l'omosessualità è «un abominio» che sostiene faccia star male Dio. la solizione proposta era sempre la stessa: pregate Dio e "guarirete" dall'omosessualità.
I leader non mancavano di ipotizzare le cause dell'omosessualità dei partecipanti: «Magari quando sei nato sei stato lasciato in incubatrice, quindi hai perso l'affetto iniziale della mamma, e in quel dolore inconscio è germogliata l'omosessualità», hanno ipotizzato in un caso. In altri la colpa era l'assenza del padre: «perché si cerca in altre figure maschili quell'antico sentimento non corrisposto». Insomma, psicologia spicciola e fondamentalismo religioso, volti a dare la colpa del proprio malessere a qualcun altro. Peccato che quel malessere non sia innato ma sia creato dalla stessa gente che poi sostiene di volerlo "curare".

A mostrarci nelle vesti di vittime anche gli artefici di questi seminari è il giornalista e il suo notare come loro fossero i primi a prostrarsi e a dire che la loro lotta contro il loro orientamento sessuale naturale era «una sfida quotidiana». Insomma, l'impressione è di ritrovarsi dinnanzi a vite sacrificate nel nome dell'ideologia di chi li ha indottrinati ad un odio verso sé stessi.
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