Il Comune di Sacile patrocinerà il comizio di Gianfranco Amato


Il 15 luglio Gianfranco Amato terrà un comizio a Sacile, un comune di 20mila abitanti della provincia di Pordenone. È facile immaginare che tratterà i suoi soliti temi: deriderà i transgeder, dirà che i gay vogliono comprare figli da donne sfruttate, sosterrà che si debba temere una fantomatica «ideologia gender» nelle scuole e sbraiterà che sia necessario «difendersi» attraverso l'affossamento di qualunque legge possa prevedere dei diritti civili per i gay...
Sono ormai centinaia i comizi di questo tenore che la Chiesa Cattolica ha voluto organizzare nei comuni di mezza Italia. Ma a Sacile la questione è ancor più grave, perché a legittimare quei discorsi ci sarà un patrocinio concesso dall'assessorato alla cultura. Almeno così pare, dato che il Comune si rifiuta di categoricamente confermare o smentire la veridicità di quanto affermato in merito dagli organizzatori (e questo nonostante si tratti di un atto pubblico su cui non dovrebbe gravare alcun segreto).
Eppure anche il Messaggero Veneto parla di quel patrocinio e fa sapere che il parroco «ha incoraggiato» l'evento ed il sindaco «ha dimostrato ampia disponibilità». Anzi, gli organizzatori dicono che il primo cittadino probabilmente parteciperà all'incontro (e magari applaudirà pure Amato quando nel nome dell'integralismo cattolico si incoraggerà un'opposizione allo stato e all'Organizzazione Mondiale della Sanità).

I timori sulla liceità del patrocinio vengono confermate anche dalle rivendicazioni del comitato organizzatore. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, Tiziana Spagnulo avrebbe premesso: «Siamo cattolici e chiediamo informazione». Una rivendicazione curiosa dato che si è provveduto ad invitare un personaggio dalle tesi assai note in un clima di totale assenza di contraddittori (il che farebbe pensare a tutto fuorché ad una ricerca di informazioni obiettive). Ed infatti le tesi che usciranno dalla serata sono già state decise: si è detto che ci si opporrà ai programmi scolastici perché «all'educazione sessuale dei nostri bambini provvediamo noi», «non vogliamo che la scuola si occupi di progetti proposti dall'Arcigay» e «l'identità sessuale è un settore delicato: i genitori hanno il diritto di occuparsene in prima persona». La signora Spagnulo ha anche aggiunto: «Vogliamo essere tranquilli quando mandiamo i nostri figli nelle scuola, a Sacile. L'educazione gender non è gradita».

La signora dice dunque di voler essere l'unica a poter parlare di sesso con i figli, motivo per cui chiede che quelle lezioni siano rese inaccessibili a tutti. Già qui ci sarebbe da chiedersi perché mai i figli degli altri genitori dovrebbero essere privati di un'educazione utile per la loro salute solo perché ciò infastidisce i cattolici.
Dovremmo forse credere che se la scuola non affronterà quelle tematiche, tutte le mamme spiegheranno ai propri figli la pericolosità dei coito interrotto? O forse la maggioranza arrossirà e preferirà glissare l'argomento (magari affidandosi ad un rosario nella speranza che la figlia non torni a casa incinta).
E i ragazzi a chi potranno porre le loro eventuali domande? Sappiamo bene che la maggior parte non chiederà certo consiglio a mamma e papà, preferendo forse il consiglio superficiale di un qualche amico disinformato quanto lui.
In fin dei conti se la scuola non ha valore come istituzione formativa e se presenza di esperti non servisse a nulla, tanto varrebbe chiuderle. In fono qui c'è chi sostiene che chiunque debba essere ritenuto in grado di affrontare qualsiasi tematica: a questo punto a che servirebbero i professori e le lezioni? In fin dei conti un neo-nazista potrebbe non gradire che si parli male di Hitler (quindi dovremmo abolire la storia), qualcun altro potrebbe non amare Dante (quindi dovremmo abolire anche la letteratura) e io non ho simpatia per le radici quadrate (quindi togliamo anche la matematica già che ci siamo!).

Il problema è in chi invoca la censura perché teme che l'educazione possa essere complementare alla scuola. Come si può sostenere di sentirsi pronti a parlare con i propri figli di loro rapporti sessuali se poi si teme un'assenza di dialogo tale da non riuscire a sapere che cosa si è fatto in classe? In fondo chiunque sarebbe legittimato a fornire un'eventuale contro-informazione in caso di disaccordo L'unicità della fonte è sicuramente facile per chi vuole fare propaganda, non per chi chiede che i propri figli siano messi nella posizione tale da poter maturare un proprio pensiero e una propria identità.

Riguardo al gender, il tema diventa più complicato dato che non esiste una «educazione gender». Se l'accezione è quella di Amato, la signora può stare tranquilla che quelle fantomatiche teorie sono state crete dalla propaganda omofoba russa e che nessun ambito accademico vuole azzerare le differenze fra uomo e donna. Se invece si intende la necessità di non parlare di omosessualità o transessualità come orientamenti perfettamente naturali, appare evidente la volontà di abbandonare e discriminare eventuali studenti lgbt. Peccato che quella sia una soluzione che nessuna istituzione dello stato potrò mai permettersi di patrocinare legalmente data l'evidente incostituzionalità di un simile atteggiamento.
Il tutto inserito anche nella preoccupante ottica in cui alcuni genitori pare abbiano già scelto l'orientamento sessuale dei figli, nonostante non abbiano alcun modo di sapere se a pagare quelle discriminazione tanto auspicata sarà la propria prole (il 10% della popolazione è gay, motivo per cui statisticamente c'è almeno un omosessuale in ogni classe).

Update: Solo dopo numerose insistenze il patrocinio è stato confermato. Il Comune fa infatti sapere che «la concessione del Patrocinio ai sensi dell' articolo 7 “Patrocinio comunale” del regolamento per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausilii finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici per la realizzazione di attività nel campo dello sport, della cultura, della tutela dei valori ambientali, dell’assistenza e della sicurezza sociale».
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