La piazza del Family Day rivendica il diritto di poter educare i figli alla violenza sulle donne?


«Il contenuto del Piano, ripreso dal comma 16, è oltre ogni ragionevole dubbio una porta spalancata sull'introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado dell'ideologia gender». È quanto denuncia l'associazione Provita nel criticare l'approvazione della nuova riforma della scuola.
Nel farlo si richiama ad una denuncia avanzata dalla Manif pour tous Italia che, per mezzo del portavoce Filippo Savarese, si scaglia contro le rassicurazioni ricevute dal governo: «non posso credere che l'On. Lupi si trovi ora ad accusare la piazza di allucinazione collettiva, affermando che nel comma 16 non si trova traccia di alcun pericolo ideologico per l'istruzione dei nostri figli, fratelli, nipoti, come le associazioni e gli organizzatori del 20 giugno stanno denunciando». Dice anche che «il comma 16 della riforma scolastica viola la libertà educativa della famiglia».

Nonostante la Corte di Cassazione abbia già chiarito che l'interesse del minore possa prevaricare l'ideologia dei genitori in tema di educazione, andiamo ugualmente a vedere che cosa lamentano. Dicono che il comma 16 rimanda a sua volta all'art. 5, comma 2, del d.l. n. 93/2013 convertito dalla l. n. 119/2013. A sua volta ancora, il citato articolo 5 rimanda all'applicazione nelle scuole dei principi espressi nel "Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere". Notizie Provita cita anche una parte del paragrafo del documento che viene incriminato, ossia il 5.2:

Obiettivo primario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell'essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini nel rispetto dell'identità di genere, culturale, religiosa, dell'orientamento sessuale (…) sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l'inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica.

Tanto gli è bastato per concludere che «l'introduzione del gender in questo caso viene fatto in modo indiretto (mediante un doppio rinvio) e quasi di nascosto (come quasi sempre accade). E proprio per questo risulta ancora più pericoloso».

Per verificare la veridicità di quelle affermazioni non resta che leggere il documento in questione (qui visionabile integralmente). Un po' di stupore già nasce nell'apprendere come lo scopo di quel progetto sia quello di «contrastare la violenza maschile contro le donne». Se per «ideologia gender» vogliamo prendere per buona la definizione integralista che vedrebbe la volontà di chiedere ai bambini di poter "decidere" il proprio sesso, difficile è non notare come le stesse premesse del documento indichino che ci siano maschi e femmine (motivo per cui il termine «genere» viene utilizzato solo in riferimento a quelle due categorie senza particolari declinazioni).
Nel capitolo 5 si propone un «approccio al contrasto del fenomeno della violenza maschile contro le donne» indicando vari ambiti di azione: la comunicazione («evitare la riproduzione di stereotipi di genere e di visioni degradanti del femminile» nella pubblicità), formazione («riconoscimento del fenomeno; presa in carico della vittima; accompagnamento nel percorso di uscita dalla violenza»), educazione, valutazione del rischio e soccorso.

Il paragrafo che infastidisce tanto i cattolici è quello sull'istruzione. La versione integrale afferma:

Recependo l'invito della Convinzione di Istanbul di passare, nel contrasto alla violenza sulle donne, da una logica securitaria ed emergenziale ad una sistemica multi-livello, un ruolo centrale riveste, nel Piano nazionale, il tema dell'educazione e della scuola. Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell'essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell'identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale, delle opinioni e dello status economico e sociale, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti sia mediante l'inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica. Nell'ambito delle "Indicazioni nazionali" per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, per i licei, per gli istituti tecnici e professionali, il Governo provvederà dunque ad elaborare un documento di indirizzo che solleciti tutte le istituzioni scolastiche autonome ad una riflessione e ad un approfondimento dei temi legati all'identità di genere e alla prevenzione della discriminazione di genere, fornendo, al contempo, un quadro di riferimento nell'elaborazione del proprio curricolo all'interno del Piano dell'Offerta Formativa. Si riportano nel dettaglio le linee di indirizzo riguardanti l'Asse di intervento "Educazione" (Vd. Allegato B)

Ci sarebbe da chiedersi perché i Provita abbiano sostituito con un omissis il riferimento al rispetto delle opinioni e status economico, eppure appare evidente come il riferimento sia a stereotipi restrittivi e degradanti. Un qualsiasi centro anti-violenze non farebbe mistero di come ancor oggi molte donne in Italia non possano neppure scegliere il proprio marito dato che la famiglia impone le proprie scelte. Non a caso nell'allegato B (chiaramente indicato nel testo) si precisa come lo scopo debba essere quello di «eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini».
Ma non solo, si suggerisce anche «la valorizzazione delle differenze per prevenire fenomeni di violenza sessuale, aggressività e bullismo». Tanto basa per capire che chi sostiene che quell'articolo voglia annullare le differenze biologiche non abbia neppure letto il testo.

Eppure difficile è capire come si possa sostenere che tutto ciò violerebbe «la libertà educativa della famiglia». Per proprietà transitiva, verrebbe da pensare che si stia rivendicato un presunto diritto dei genitori a poter insegnare ai figli che le donne sono inferiori e che non c'è nulla di male nel trattarle in maniera degradante. Peccato che una simile rivendicazione sarebbe criminale dato che in Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa dal suo compagno, marito, fidanzato o amante.

L'invito rivolto a tutti è quello di andarsi a leggere il documento integrale, perché se quelle norme basilari di civiltà rappresentano davvero la fantomatica «ideologia gender» contrastata dal Family day, c'è veramente da mettersi le mani nei capelli.
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