Considerazioni a margine dell'articolo di G. Amato, "il gender nella Buona Scuola c'è eccome"


Ormai da tempo mi lascio coinvolgere nelle dispute che accendono gli opposti poli nell'ambito delle dibattute tematiche LGBT al fine di tentare di comprendere quali siano i punti di incomunicabilità tra le due parti. I giornali di ispirazione cattolica in questo quadro sono i dispensatori più accaniti di critiche alle tematiche di genere ed alle tematiche relative alla popolazione LGBT, nonché i più strenui negazionisti dello stigma di cui sono più o meno intensamente vittime le persone LGBT. Non è un caso che nel mondo cattolico si sia creato il mito dell'”Ideologia del gender” che colonizza le menti e smarrisce i bambini. Ideologia è il termine che si usa per minare in radice la scientificità dei cc.dd. studi di genere: l'ideologia rappresenta una serie concatenata di idee più o meno complesse che originano da uno o più presupposti non oltre dimostrabili, normalmente coincidenti con la soggettiva “Weltanschauung” dell'”ideologo”, e che pertanto, ove diffusa, appare come la condivisione acritica del pensiero dell'ideologo in questione, acritica perché basata sulla mera condivisione emozionale dei presupposti. Ed è così che la stampa cattolica vuol far apparire il frutto di lunghe osservazioni, analisi e ricerche come colonizzazione ideologica operata dalle “lobby gay”, presunte ideologhe dell'ideologia del gender. Quando leggo gli scritti di orientamento cattolico sul tema resto normalmente demoralizzato dalla superficialità e mala fede – o forse devo dire proprio ignoranza, non saprei – con la quale queste presentano il ragionamento con cui vorrebbe destrutturare la tesi bersaglio: ed invero, la forza di tali critiche è insita nei soli toni ed in un abile gioco di scompiglio delle carte in tavola più che in stringenti passaggi argomentativi.

Il Gender nella “Buona Scuola” – Di recente mi sono imbattuto in un articolo apparso in identico testo sia su “La nuova Bussola Quotidiana” che su “Aleteia”, scritto che rifulge per le caratteristiche poco encomiabili che per sommi capi ho testé tentato di delineare. Si tratta di una messa in guardia da parte dell'avv. Gianfranco Amato – presidente dell'associazione “Giuristi per la vita” – rispetto all'ultimo provvedimento legislativo in tema di istruzione, la legge 13 luglio 2015, n. 107, cosiddetta “Buona Scuola”. L'autore ritiene che in questa nuova legge, in senso contrario alle raccomandazioni di esponenti delle istituzioni, l'indottrinamento delle giovani menti ai canoni dell'”ideologia gender” avrà senz'altro luogo, a prescindere dalle rassicuranti etichette e prese di posizione governative. Correttamente l'autore cita l'art. 16 della legge ritenendo che le due espressioni pericolose sarebbero “violenza di genere” e “legge sul femminicidio”. In particolare cita l'art. 5 della legge sul cd. “femminicidio”: «(…) Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell'essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini nel rispetto dell'identità di genere, culturale, religiosa, dell'orientamento sessuale (…) sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l'inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica» [sottolineature e grassetti di chi scrive]. Ed ecco che in questo comma viene individuato il nemico, il cavallo di troia – espressione che il card. Bagnasco riferisce al concetto di “femminicidio” (criticabile senz'altro sotto altri aspetti, non già per questo motivo) – l'“identità di genere”. Correttamente, peraltro, del concetto di identità di genere riporta la definizione di fonti istituzionali, in particolare dell'UNAR (coerente con le più recenti acquisizioni scientifiche sul tema), secondo cui l'identità di genere rappresenta «il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». Ed altresì correttamente viene riportata la definizione di sesso biologico come «caratteristiche biologiche e anatomiche del maschio e della femmina, determinate dai cromosomi sessuali». Fin qui non vi sarebbero obiezioni perché queste premesse possiamo ritenerle come “lo stato dell'arte” sulla materia e niente di artificiosamente o falsamente riportato da soggetti di parte.

Ed ecco che sopraggiunge la critica spiazzante dell'Autore, spiazzante non già perché idonea a disarmare il proprio avversario, ma perché veramente imbarazzante. Scrive testualmente Amato: “In realtà è proprio l'erronea considerazione che uomo e donna siano semplici categorie sociali e culturali, unita all'idea che si possa scegliere [grassetto e sottolineato di chi scrive] di appartenere all'una o all'altra categoria indipendentemente dal sesso biologico, che sta alla base della teoria gender, così duramente ed aspramente condannata da Papa Francesco, al punto da essere stata da lui definita «uno sbaglio della mente umana che crea tanta confusione», il 21 aprile 2015 durante il suo incontro con i giovani di Napoli nel Lungomare Caracciolo”. Ebbene, l'autore interpreta liberamente la definizione di identità di genere traducendo “senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna”come “scelta di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna”. In realtà a persone avvedute non occorrerebbe altro per comprendere la pochezza di tale passaggio ma non pare superfluo sviscerarne la profonda irrazionalità.

Sentire e scegliere – Obiettivamente la definizione di identità di genere parla di “sentire” ed altresì obiettivamente l'avv. Amato dice che i fautori e propugnatori dell'ideologia gender intendano che si possa “scegliere” di essere uomo o donna. La domanda di partenza è: sentire e scegliere per Amato sono sinonimi, ma lo sono veramente? Ovviamente no.

Rispetto al “sentire” la persona è meramente passiva, percepisce uno stimolo procurato da un qualcosa di esterno anche quando ciò che prova non vorrebbe provarlo. La caduta di un masso su di un piede provoca una sensazione di dolore, rispetto alla quale colui cui appartiene il piede non può far altro che provare dolore (non potrebbe scegliere di non provarlo). Se questo esempio sembra lontano dal discorso dell'identità di genere in ragione della fisicità della sensazione considerata, più d'ausilio potrà risultare l'esempio di chi perde una persona cara: il dolore che si prova (stavolta spirituale, intimo, profondo e soggettivo), non più essere “non provato” (né si potrebbe scegliere di non provarlo) in quanto chi soffre è completamente passivo rispetto allo stimolo che genera la “sensazione” di sofferenza.

Rispetto allo “scegliere”, invece, la persona è attiva in quanto il risultato della scelta non è involontario, ma conseguenza dell'esercizio dell'arbitrio. Ma vi è di più: lo scegliere, per dirsi azione volontaria, presuppone il libero arbitrio. In mancanza di libertà il risultato della selezione ed opzione dell'individuo non può dirsi “scelta” ma “conseguenza”. Di qui ha normalmente origine il discorso moralizzante degli esponenti di area cattolica sulle tematiche LGBT e di genere. Infatti, ove si sostenga che l'identità di genere sia una scelta e tale opzione viene stigmatizzata come “contro natura” perché contraria al proprio sesso biologico, chi “sceglie” una identità di genere difforme al proprio sesso biologico pecca contro natura.

Trans modaioli? – Puntualizzato come l'autore dell'articolo abbia maldestramente giocato a confondere le acque, occorre sottolineare la svista ancora più maldestra di Amato. Se rileggiamo l'art. 5 della legge sul femminicidio notiamo che l'identità di genere è uno degli aspetti considerati accanto – guarda caso – all'”orientamento sessuale”. Quindi ad Amato preoccupa che si parli di identità di genere, ma a quanto pare non di orientamento sessuale che non sarebbe, invece un cavallo di troia. Invero la discrasia tra sesso biologico ed identità di genere è tuttora considerata una patologia annoverata nel DSM e meglio nota come “disturbo di identità di genere” o “disforia di genere”: le persone che ne sono affette sono comunemente definite “transessuali” e “transgender” (non mi dilungo sulla differenza, non giova al discorso). E l'autore dell'articolo in commento riferisce – implicitamente – che secondo quella che lui chiama “ideologia del gender” i/le transessuali scelgono arbitrariamente (liberamente e consapevolmente), forse per capriccio o per moda, di “sentirsi” di sesso (id est: genere) diverso dal proprio sesso biologico. Non dubito che perfino gli psichiatri cattolici potrebbero ridere di tale considerazione. Se l'identità di genere si “scegliesse” e non si “sentisse” nessuno starebbe a parlare di “patologia”: se ad oggi tutti sono d'accordo che la disforia di genere sia una patologia e che necessiti di “cure” latu sensu (terapia psicoanalitica, farmacologica, operazione per cambio di sesso, ecc.) non può certo affermarsi – senza destare l'ilarità dell'interlocutore – che l'identità di genere possa scegliersi. Risulta pertanto evidente che nessuno di quelli che da Amato sono additati come “ideologi gender” si sognerebbero di dire che l'identità di genere si “scelga”: come chiaramente detto in definizione, l'identità di genere si “sente”. Ad un occhio esterno, inoltre, si evince un'ulteriore conseguenza, e cioè che non esiste una sola ideologia gender, ma almeno due ideologie gender: quella dei cd. Ideologi gender e quella contro cui si scagliano i quotidiani cattolici e Gianfranco Amato in prima persona, creata da loro stessi. È di tutta evidenza che nessuno degli additati come ideologi gender oserebbe mai provare a diffondere idee strampalate di quelle loro attribuite dall'allarmato estensore dell'articolo in commento.

Uomo e donna come semplici categorie sociali? – Va da sé che all'avv. Amato manchino gli ulteriori concetti di “stereotipo di genere” e di “ruolo di genere”, che rifiuta di prendere minimamente in considerazione (e nemmeno cita!), limitandosi a bollare come erronea la considerazione che “uomo e donna siano semplici categorie sociali e culturali”. Su questo punto pare che un minimo di accordo ci sia: uomini e donne, infatti, non sono neanche per gli “ideologi gender” semplici categorie sociali, ma persone umane di sesso biologico individuato. Ancora una volta l'Amato riferisce in modo erroneo il pensiero di terzi. Nella sua concezione, infatti, nella biologicità del maschio e della femmina è automaticamente iscritto, rispettivamente, un “comportamento da maschio” ed un “comportamento da femmina” di tal che – volendo esemplificare – il bambino nato biologicamente maschio, se nessuno sceglie per lui, giocherà automaticamente con le macchinine ed i soldatini, mentre il bambino nato biologicamente femmina sceglierà automaticamente di giocare con le bambole. È vero questo? Per gli attivisti sedicenti cattolici ciò è vero senza alcun dubbio; per chi, invece, vive un maggior contatto con la realtà, è noto che non sono sporadici i casi in cui, rispetto ad una individuata proposta genitoria di giochi, il bambino/la bambina dimostrino interesse per giochi di tutt'altra natura, ordinariamente considerati adatti a bambini dell'altro sesso. Quali e quanti possono essere i fattori che influenzano questa scelta ancora è oggetto di umile discussione, per tutti tranne che per tali sedicenti cattolici e per tanti fondamentalisti di analoghe vedute, i quali ritengono di avere per tutto la verità in tasca. Per costoro questa non può minimamente considerarsi espressione della propria personalità, in quanto ritengono – su quale base? – che la “vera” personalità spinga “naturalmente” a comportamenti “da maschio”/”da femmina”, coerentemente rispetto al sesso biologico - quest'ultimo passaggio leggasi come comportamenti che essi ascrivono a maschi ed a femmine – e che qualsiasi deviazione comportamentale dal paradigma di maschio e di femmina è, pertanto, “perversione”, “colpa”, “peccato”, “offesa alla natura”. Su questo punto pare infatti lampante un'ulteriore incongruenza. Come osservazioni di carattere antropologico dimostrano, in tutti i luoghi ed in tutti i tempi vi sono stati modi diversi ed anche molto differenti sul come debba essere intesa la maschilità e la femminilità, quindi non si comprenderebbe quale maschilità e quale femminilità sarebbe iscritta nel DNA rispettivamente di maschi e femmine secondo chi è di tale avviso. Nel linguaggio di coloro che sono additati come ideologi gender, i comportamenti socialmente ritenuti come tipici di maschi e di femmine vengono definiti “stereotipi di genere”, mentre la “valutazione” dei comportamenti dell'individuo caratterizzanti un genere o l'altro secondo gli stereotipi di genere, effettuata sulla base degli stereotipi di genere di riferimento, viene definita “ruolo di genere”. Per fare un esempio, se in una determinata società è considerato “femminile” mostrare apertamente sentimenti di debolezza (“stereotipo di genere”), un maschio che si commuove o piange viene considerato “femminile” sotto questo aspetto (gli viene attribuito “ruolo di genere” femminile). Al cambio di stereotipo corrisponde altresì una diversa valutazione di ruolo di genere. Per chi ritiene che anche il comportamento da uomo e da donna – si ribadisce il quesito, quale tra le molteplici concezioni di comportamento da uomo o da donna sulla terra e nella storia? – sia di origine biologica, ruolo di genere e stereotipi di genere appaiono invenzioni della ideologia del gender.

Dopo non aver individuato neanche uno straccio di argomento valido – come si è cercato di evidenziare – l'Autore inizia a cercare di conferire autorevolezza al proprio imbroglio di etichette citando a piene mani le parole del Papa il quale, invero, non ha mai chiarito cosa ritiene che sia l'Ideologia del gender (cosa Amato creda che sia lo abbiamo capito) e devo dire che sul tema si è sempre rivelato molto soft senza attivare una vera e propria crociata come il suo predecessore.

Colonizzazione ideologica: truffa delle etichette – Sulla colonizzazione ideologica occorre sfatare un mito: si tratta di “etichetta”, non già di qualcosa di lontano dal quotidiano vivere civile, tanto meno dall'azione della Chiesa stessa, mirante all'imposizione del “pensiero unico” cattolico. Il vero problema è insito nel giudizio di valore sulle idee che lo Stato vuole trasmettere: l'ora di religione nelle aule scolastiche nessuno l'ha ancora definita colonizzazione ideologica ma non v'è dubbio che originasse dall'intento di diffondere in maniere capillare fin dalle giovani generazioni (rectius, “colonizzare ideologicamente”) idee, valori e concetti di cui si riteneva la positività. Fin tanto che la “colonizzazione ideologica” da parte dello Stato nelle scuole riguarda temi e valori condivisi anche da personaggi ed esponenti di estrazione cattolica, nessuno utilizza questa stigmatizzante etichetta ma si parla piuttosto di “istruzione”, “educazione”, “formazione”. Quando il valore che viene trasmesso nell'insegnamento scolastico è positivamente valutato dallo Stato ma negativamente da qualcuno, da parte del dissenziente esso viene etichettato come “colonizzazione ideologica”. Ebbene, è la stessa identica cosa di ciò che fa la Chiesa con l'insegnante di religione nelle scuole, la stessa cosa che fanno le scuole coraniche, la stessa cosa che fanno i licei italiani con i programmi ministeriali di storia, letteratura e matematica, la stessa cosa che facevano i nazisti, i fascisti ed i comunisti stalinisti nelle loro scuole, la stessa cosa che fa qualunque istituto di istruzione e formazione: trasmette valori ed insegnamenti, cercando che gli stessi divengano “habitus”, patrimonio valoriale e culturale del singolo discente. Cosa cambia? Solamente il giudizio sui valori e gli insegnamenti che vengono trasmessi, per cui diciamo che forse l'educazione/indottrinamento/colonizzazione ideologica nazista e stalinista non sarebbero auspicabili (sono “colonizzazione ideologica”), mentre altri insegnamenti sì, ma non v'è dubbio che il metodo è lo stesso. Se lo Stato italiano decide di portare nelle scuole i valori della tolleranza, del rispetto di ciascuno a prescindere dalle proprie caratteristiche di qualsivoglia natura, lo stesso Stato italiano ritiene di star attuando principi fondamentali del nostro ordinamento, nonché dell'ordinamento sovranazionale. Se lo Stato italiano ritiene – insieme al resto del mondo almeno occidentale – di dover trasmettere il rispetto dei diritti umani e dare atto ai giovani discenti dello stato dell'arte in tema di sessualità, omosessualità, transessualità e questione di genere secondo quelli che sono i più accreditati e diffusi studi in materia, non fa altro che applicare lo stesso criterio che applicherebbe per altre materie: ritiene legittimamente di fare il proprio dovere. Evidentemente il catalogo di diritti umani dei crociati antigender non è lo stesso della CEDU o della Costituzione della Repubblica Italiana, e ciò crea frizioni. Le tematiche afferenti al rispetto dell'altro a prescindere da ruolo di genere, identità di genere ed orientamento sessuale, inoltre, sono di efficacia ancora più diretta ed immediata rispetto alle tematiche – ad esempio – di storia e matematica (che allo studente frutteranno all'università o nel lavoro): tali approcci aiutano il contesto scolastico nell'immediatezza a fugare un clima di altrimenti immotivati conflitti, favorendo l'instaurazione di un sereno contesto ove conciliare relazionalità e studio. In realtà è proprio questo il punto focale: i contestatori della così etichettata “ideologia gender” sono tutti d'accordo ad esser contrari al bullismo omofobico, agli atti di discriminazione ecc., ma non sono stati in grado di spiegare, a loro avviso, come nelle scuole questo fenomeno vada combattuto, o meglio, prevenuto. Quello che serpeggia è un programma di contrasto ispirato al “don't ask, don't tell” sulle tematiche di genere e di orientamento sessuale, perché all'educazione sessuale devono provvedere i genitori tra i quali, probabilmente, si annidano proprio alcuni istigatori – più o meno consapevoli – al bullismo omofobico. Quindi come si comporterà l'insegnante di estrazione cattolica di fronte ad un episodio di bullismo omofobico? si limiterà al rimprovero del bullo, senza affrontare il tema o lo affronterà dicendo che i gay sono malati e quelli che dicono il contrario sono gli scienziati lobbisti gay? Per i crociati antigender, dunque, il bullismo va “contrastato”, ma non “prevenuto”, quindi alle vittime non ci sarà mai fine.

Ecco dimostrato, in sintesi, come risulti demoralizzante imbattersi in questi assalti crociati all'“ideologia del gender”: toni da apocalisse e da complotto mondiale, sostituzione di parole ed asserzioni apodittiche.


Francesco Vigoriti
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