L'omosessualità nell'antica Roma


Nell'antica Roma non esisteva un'autentica differenziazione basata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, al punto che quei concetti neppure esistevano e in latino non esistono parole che definiscano l'omosessualità o l'eterosessualità. La concezione dell'epoca si basava sul ruolo assunto all'interno del rapporto sessuale ed è su quello che facevano affidamento anche le leggi che regolavano le relazioni. Il ruolo attivo era associato alla virilità, quello passivo era generalmente considerato come estremamente degradante e tipico della femminilità.
Qualora un uomo avessero assunto uno status legato ad una posizione di comando (sessualmente penetrativa), era considerato libero di intrattenere rapporti sessuali con altri maschi a patto che venissero mantenuto un ruolo attivo e che l'amante fosse di rango inferiore. Nel 149 a.C. venne addirittura emanata la Lex Scantinia che, all'interno del sesso fra adulti liberi, condannava a multe sino a 10.000 sesterzi chiunque avesse ricoperto un ruolo passivo.
Ciò non toglie che numerosi uomini illustri mantenessero comunque un ruolo passivo. Tra i più famosi c'è sicuramente Giulio Cesare, descritto da Cicerone come «il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti». I suoi gusti sessuali furono spesso oggetti di pettegolezzo e di vera e propria omofobia da parte degli avversari politici, con scrittori come Plutarco e Svetonio che non mancarono di deriderlo per la realazionc che in gioventù lo avrebbe legato al sovrano del regno di Bitinia, Nicomede IV.
Anche Nerone, stando agli scritti di Svetonio, si sposò due volte con schiavi dello stesso sesso, Sporo e Doriforo (la prima volta nel ruolo di "marito" e la seconda in quello di "moglie").
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