Il 58% degli psicologi italiani non avrebbe problemi a "riparare" gli omosessuali


Più di quarant'anni fa, nel dicembre 1973 il Board of Trustee dell'APA, l'American Psychiatric Association, con una votazione di 13-0 e due astenuti, prese la più importante decisione nella storia contemporanea della scienza dell'omosessualità: affermare che l'orientamento omosessuale non è altro che una variante naturale della sessualità umana, come l'eterosesualità[1]. Nell'aprile del '74, dopo che la fazione più reazionaria della comunità psichiatrica, composta prevalentemente da psicoanalisti, fece pressione per un referendum sulla decisione del Board, con un ulteriore voto (58% a favore) la parola fine venne finalmente scritta: Sick No More! Titolava una rivista gay di quel tempo.

Da quell'evento molto è cambiato, anche se qualche resistenza riuscì ad emergere nella comunità scientifica. Come compromesso tra la realtà progressista e quella reazionaria, si decise di introdurre la distinzione tra omosessuali egosintonici ed omosessuali egodistonici. I primi sono gli omosessuali che accettano la propria omosessualità, i secondi sono invece quelli non riescono ad accettarla e per i quali era possibile una terapia volta alla "cura". Dico "era possibile" perché alla fine questa categoria è stata per nostra fortuna eleminata.

Il cambiamento apportato dall'APA non passò inosservato; altre organizzazioni approvarono risoluzioni identiche a quelle dell'APA. Finché non fu la volta dell'OMS, l'Organizzazione mondiale della sanità, nel 1990, a rimuoverla dall'ICD, l'International Classification of Diseases. Tuttavia l'ICD continua a riconoscere alcuni disturbi legati all'orientamento sessuale, tra cui l'orientamento sessuale egodistonico (sia etero che omo). Nel 2018 farà la comparsa la nuova versione dell'ICD, la numero 11, e per l'occasione un gruppo di esperti ne ha chiesto la rimozione completa.

Ora, catapultiamoci nella realtà italiana. Sebbene siano passati più di quarant'anni dalla presa di posizione della più importante comunità di psichiatri, sembra che le cose non siano tanto chiare.

Vittorio Lingiardi, psicologo dell'Università Sapienza, e altri due colleghi attraverso l'Ordine degli Psicologi sono riusciti[2] a somministrare ai membri dell'Ordine (quasi 30 mila in tutto) un questionario di domande e ad ottenere 3135 risposte. Dei partecipanti, praticamente sole donne (86%) , maggiormente del nord Italia (54%) e tra i 35 e i 65 anni di età (51%), il 76% considera l'omosessualità una variante della sessualità umana. Comunque solo il 26,5% considera come spiegazione dell'omosessualità la causa genetica, mentre il 23,5% le interazioni famigliari problematiche e il 41,6% la mancanza di identificazione con il proprio ruolo di genere. Però c'è un dato ancora più preoccupante: il 56% si è detto favorevole a modificare l'orientamento sessuale dei pazienti omosessuali se questi lo avessero chiesto e il 2% indipendentemente dalla volontà del paziente. Quindi il 58% degli psicologi italiani, secondo questa ricerca pubblicata l'aprile scorso, non avrebbe problemi a somministrare le cosiddette terapie riparative.

Al dilemma che molti di voi vi sarete posto, cioè come sia possibile che una maggioranza di psicologi concepisca al tempo stesso la “naturalità” dell'omosessualità e una sua possibile cura, Lingiardi risponde prendendo come paragone la differenza tra gli italiani che non considerano l'omosessualità come una malattia e gli italiani a favore del matrimonio egualitario (74% e 43%)[3]. Tuttavia, come ammette lo stesso Lingiardi, il paragone non aiuta a svelare un mistero che potrebbe perfettamente essere spiegato dalla assenza di una formazione specifica legata ai temi dell'orientamento sessuale e l'identità di genere. Infatti solo il 15% dei partecipanti al questionario si sente “adeguatamente preparato” a queste tematiche. Così lo studio di Lingiardi si rivela il primo in assoluto in Italia a gettare luce sulla mancanza di conoscenza della dannosità delle terapie riparative, una mancanza che non può che ripercuotersi negativamente sulle persone LGB oggi in cerca di aiuto.

Per affrontare questo problema Lingiardi assieme a Nicola Nardella hanno elaborato le Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali. Per quanto riguarda le richieste di un omosessuale di “cambiare” orientamento bisogna prima di tutto capire il perché di questa decisione e in quale ambiente famigliare è stato cresciuto o in cui sta crescendo, visto che i genitori di un adolescente potrebbero spingerlo alla “riparazione” della sua sessualità. Il terapeuta dovrà poi adottare un linguaggio appropriato ed essere sempre in guardia dai possibili "minority stress", cioè dalle quotidiane pressioni negative che le persone LGB devono sopportare, dall'internalizzazione dell'omofobia fino alle esperienze di omofobia.

di Andrea Pizzocaro

Note:
  1. La storia della derubricazione dell'omosessualità dal DSM è raccontata da Ronald Bayer, "Homosexuality and American Psychiatry: The Politics of Diagnosis", Princeton University Press, Princeton (New Jersey, USA), 1987, pp. 249.
  2. Vittorio Lingiardi, Nicola Nardelli, and Emiliano Tripodi, “Reparative Attitudes of Italian Psychologists Toward Lesbian and Gay Clients: Theoretical, Clinical, and Social Implications”, Professional Psychology: Research and Practice, 2015, Vol. 46, No. 2, 132–139
  3. Istituto Nazionale di Statistica. (2012). La popolazione omosessuale nella società italiana: Anno 2011
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