La pubblicità di ProVita sarà sottoposta all'esame del Comitato di Controllo
Dopo l'indignazione per la pubblicazione da parte del Corriere della Sera di una pagina di propaganda omofoba firmata da Provita e dopo la grande partecipazione alla campagna per la segnalazione di quanto accaduto alle autorità, dalla segreteria dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) ci fanno sapere di aver ricevuto «numerose segnalazioni»riguardo
alla comunicazione "Stop matrimonio e adozioni gay! Stop Cirinnà!" a frima di "Provita. Difendi la famiglia e i bambini" rilevata sul Corriere della Sera nell'edizione Roma del 20 settembre 2015.
Ci informano anche che «il caso sarà sottoposto all'esame del Comitato di Controllo, l'organo garante degli interessi dei cittadini-consumatori, che valuterà se sussistono o meno gli elementi per un intervento secondo quanto previsto dalle norme del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale» e che «l'invio di ulteriori segnalazioni di analogo contenuto non è necessario dato che il Comitato ha già messo in agenda la valutazione del caso che verrà comunicata in breve tempo». La segreteria ringrazia anche «per l'attiva partecipazione».
Il testo che avevamo proposto per la segnalazione all'Authority era il seguente:
In merito all'annuncio pubblicato dall'associazione ProVita Onlus (CF 94040860226) sulle pagine de Il Corriere della Sera del 20 settembre 2015, segnalo la possibile infrazione del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale mediante alcune falsificazioni e grave inesattezze nel messaggio proposto.
Nella parte superiore della pagina è riportata la scritta «difendi la famiglia e i bambini», anche se è del tutto opinabile il sostenere che l'affossamento del disegno di legge indicato possa costituire un vantaggio per le famiglie o per i bambini. Anzi, nel caso di figli di coppie omogenitoriali, si chiede che il bambino sia privato dalle tutele giuridiche di uno dei due genitori, così come nel caso di figli lgbt si invita a calpestare la loro possibile realizzazione sociale.
Si passa poi a sostenere che «sta per essere approvato alla Camera il ddl Cirinnà, che istituirebbe di fatto il matrimonio gay in Italia, e che aprirebbe le porte anche all'adozione per le coppie omosessuali». I termini utilizzati paiono poco corretti, dato che (purtroppo) le unioni civili in discussione non sono un matrimonio ma un istituto giuridico separato, così come la stepchild adoption non sarebbero altro che una regolamentazione di rapporti parentali già in essere (ben altra cosa rispetto all'adozione vera e propria).
Molto gravi appaiono le sei affermazioni con cui l'associazione motiva la necessità di firmare la loro petizione.
Al primo punto si afferma che «quasi tutti i diritti che si reclamano per i conviventi sono già riconosciuti nell'ordinamento». L'affermazione è poco chiara dato che non spiega come la rivendicazione si basi sul chiedere che siano riconosciuti solo diritti individuali che non riconoscano alcun valore alla coppia come formazione sociale (ossia non ci sarebbe differenza fra una famiglia gay o due studenti che convivono nello stesso appartamento). Non si specifica neppure come le coppie gay sarebbero esclude dalla reversibilità o come i loro diritti non sarebbero acquisiti ma legati a specifiche scritture private da registrare di volta in volta presso un notaio.
Al secondo punto si afferma che il ddl Cirinnà sarebbe «Contrario all'articolo 29 della nostra Costituzione in quanto prevede un regime sostanzialmente identico al matrimonio per coppie dello stesso sesso». È falso. La sentenza 2400 emessa nel 2015 della Corte di Cassazione precisa come il matrimonio egualitario possa tranquillamente essere introdotto anche mediante leggi ordinarie dato che non è in contrasto con la Carta Fondamentale. Inoltre le sentenze della Corte costituzionale numero 138 del 2010 e numero 170 del 2014, affermano chiaramente che la Corte distingue due diritti fondamentali, indicando il primo come diritto di vivere liberamente una condizione di coppia, fondato sull'articolo 2 della Costituzione, e il secondo come matrimonio, fondato sull'articolo 29 della Costituzione. I giudici indicano la possibilità di garantire i due diritti fondamentali con due diversi istituti (ossia il matrimonio e un istituto ad esso alternativo) precisando come il legislatore potrebbe tranquillamente garantire entrambi i diritti con l'estensione del matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso, pur senza essere obbligato a farlo. Il paradigma eterosessuale del matrimonio è infatti sancito nel codice civile (che è legge ordinaria e modificabile a piacere). Tuttavia, qualora il legislatore scegliesse di non estendere il matrimonio anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso, la Costituzione lo obbliga a creare un nuovo istituto per garantire ai partner dello stesso sesso il diritto di vivere la condizione di coppia.
Ecco dunque che il ddl Cirinnà non solo non sarebbe in contrasto con l'articolo 29 (che peraltro è stato escluso nel testo in discussione), ma risulterebbe un diritto costituzionale.
Al terzo punto si afferma che il ddl Cirinnà sarebbe «deleterio per il futuro dei bambini in quanto favorirebbe il ricorso all'aberrante pratica dell'utero in affitto all'estero».
Nel disegno di legge non vi è alcun riferimento alla procreazione assistita, motivo per cui i diritti sarebbero semplicemente gli stessi oggi riservati alle coppie eterosessuali.
L'attuale ordinamento riconosce pieni diritti ai bambini nati all'estero da coppie eterosessuali, ma rendono orfano di uno dei genitori quelli nati da persone dello stesso sesso. Non è chiaro come l'equiparazione dei diritti dei bambini sia da intendersi come un «favorire» pratiche che in Italia sono e resteranno vietate.
Si nega inoltre l'evidenza di tutti i casi in cui i figli sono nati da precedenti relazioni e non vengono tutelati all'interno delle loro famiglie se omogenitoriali.
Al quarto punto si afferma che il ddl Cirinnà sarebbe «in conflitto con il principio di uguaglianza e non discriminazione che impone non solo di trattare ugualmente situazioni uguali ma anche di trattare diversamente situazioni diverse».
L'articolo 3 della Costituzione afferma che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Quella frase appare in contrasto con quel semplice principio.
Al quinto punto si afferma che il ddl Cirinnà sarebbe «discriminatorio verso le persone, come gli ufficiali si stato civile, che non potranno usufruire del loro diritto alla libertà di espressione e di religione».
Viviamo in un Paese dove si presume che la legge sia uguale per tutti, motivo per cui non è chiaro perché mai si inneggi a categorie di persone che dovrebbero avere il diritto di calpestare i diritti costituzionali altrui sulla base dei propri pregiudizi.
Se applicassimo il loro principio, allora un razzista dovrebbe avere il diritto di rifiutarsi di fornire beni o servizi a persone di colore, così come chiunque potrebbe sentirsi discriminato dinnanzi a chi chiede che le leggi dello Stato siano rispettate.
Al quinto punto si afferma che il ddl Cirinnà sarebbe «dannoso. Ogni legge ha una forza pedagogica e situazioni problematiche e innaturali sarebbero percepite dalla collettività come "normali».
L'OMS definisce l'omosessualità una variante naturale del comportamento umano. Il fatto che Provita la reputi «innaturale» è un pregiudizio che non può essere imposto per legge, così come non è tollerabile si chieda allo stato di creare ostacoli sociali che portino a percepire le famiglie gay come "anormali".
L'articolo 3 della Costituzione sancisce infatti che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Detto questo, si sollevano subbi di compatibilità tra quel messaggio e i principi espressi nel Codice di autoregolamentazione. A titolo esemplificativo ma non esaustivo, si citano gli articoli 1 («la comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera e corretta»), l'articolo 6 («chiunque si vale della comunicazione commerciale deve essere in grado di dimostrare, a richiesta del Giurì o del Comitato di Controllo, la veridicità dei dati, delle descrizioni, affermazioni, illustrazioni e la consistenza delle testimonianze usate»), l'articolo 8 (riguardante l'abuso della superstizione, credulità e paura nel sostenere la necessità di "difendersi" dai diritti civili), l'articolo 10 («deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere»), l'articolo 14 («ogni denigrazione delle attività, imprese o prodotti altrui, anche se non nominati») e l'articolo 15 («la comparazione deve essere leale e non ingannevole, non deve ingenerare rischi di confusione, né causare discredito o denigrazione»).