Il Giornale attacca il governo: Berlusconi si sarebbe appellato contro la dignità dei gay


Se ci fosse stato Lui tutto questo non sarebbe mai successo. A sostenerlo è Il Giornale, pronto a strumentalizzare per scopi politici la crescente ondata di violenza omofobica che lui stesso ha contribuito ad alimentare. a suo dire,m infatti, Berlusconi non avrebbe mai accettato un'Italia in cui i gay potessero avere diritti. L'evidente invito è dunque a votare certi partiti, sostenendo che quel voto si tramuterà in violenza e soprusi nei confronti delle minoranza (nulla cambierà per le famiglie eterosessuali, ma i catto-fascisti troveranno gusto nell'aver visto concretizzati i loro più bassi istinti razzisti ed omofobi).

Ma andiamo con calma. Un articolo firmato da Pier Francesco Borgia si scaglia contro il Governo Renzi e lo accusa di non aver fatto come Berlusconi e di non essersi appellato contro la sentenza della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo che ha evidenziato come il nostro Paese calpesti i diritti delle famiglie omosessuali. ma dato che alla redazione de Il Giornale i gay non stanno simpatici, allora scrivono: «Per la Corte di Strasburgo l'Italia ha violato i diritti civili di tre coppie omo. Bastava fare appello, invece adesso vanno risarcite. Ma così rischia un salasso sui conti pubblici».
L'Italia ha infatti deciso di rispettare l'articolo 3 della Costituzione e di accettare un richiamo su quanto espresso più volte dalla Corte Costituzionale: la nostra Carta Fondamentale dice che i gay non sono trattati secondo i principi inviolabili dell'Italia, ma Il Giornale sostiene che tutto ciò non importi e che fosse importante salvare il volere Vaticano nell'istituzionalizzazione di una ingiusta discriminazione.

L'articolo si spinge così a spiegare come sarebbe bastato violare i diritti della comunità lgbt per risparmiare i 5mila euro di risarcimento, sostenendo che quei soldi sarebbero preferibili ai diritti:

L'ottimismo del governo, però, è stato eccessivo. A oggi ovviamente la legge non è arrivata. Quando sarebbe bastato un semplice ricorso per fermare, intanto, la multa che l'Italia dovrà tirar fuori. C'è un caso analogo nel passato recente. Contro una sentenza della Corte di Strasburgo il governo Berlusconi ricorse e vinse in appello, grazie al lavoro dell'allora ministro degli Esteri Franco Frattini. Nel 2009 la Corte aveva accolto il ricorso di una cittadina di origine finlandese che si sentiva oltraggiata per la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche. Non solo l'Italia allora bloccò il procedimento della multa con la presentazione del ricorso ma ottenne anche piena soddisfazione finale. Oggi niente di tutto questo. La legge, auspicata dalla Boldrini e prefigurata dalla Boschi non è arrivata. E il governo si è ben guardato dal presentare ricorso. I soliti maliziosi vedono in questa «sbadataggine» un piccolo regalo del governo verso quella parte del mondo politico chiamato a sostenere il cosiddetto «ddl Cirinnà». Il disegno di legge, cioè, che offrirebbe il via libera proprio alle unioni civili e alle adozioni per coppie gay.

L'esempio citato pare molto calzante, perché ben ricorda la situazione attuale. Com'è noto, una cittadina invocò il suo diritto alla scelta dell'educazione della figlia e chiese che i crocefissi fossero tolti dalle scuole pubbliche nel nome della laicità dello stato. Ciò sollevò l'ira dell'integralismo cattolico, pronto a sostenere che i bambini di altre religioni dovessero subire simboli cattolici perché parte della tradizione.
Dopo la sentenza, la Russia appoggiò il ricorso dell'Italia, a Trento il comune installò un crocefisso di tre metri dinnanzi alla scuola, a Monza venne istituita una multa per chiunque avesse osato rispettare la sentenza e rimuovere i crocefissi, a Enna la multa introdotta era addirittura di 500 euro. Padova vide la lega in prima fila nel sostenere che la religione dovesse essere inculcata ai bambini e che i genitori non hanno alcun diritto di scelta quando si tratta di religione (Napolitano diede poi l'affondo finale nel sostenere che i Vescovi hanno il diritto di dire ciò che vogliono e di entrare nelle scuole a loro piacimento anche contro il volere dei genitori).
Non mancarono neppure i blitz di Forza Nuova, che irruppe sede trevigiana dell'UAAR e la ber­sagliarono con croci in legno e striscioni. A Taranto venne approvato un ordine del giorno in cui la giunta comunale sostennero che «il crocifisso è simbolo di pace e di amore tra gli uomini».
Gianfranco Amato (si, quello stesso Amato che oggi blatera di fantomatiche "ideologie gender") scrisse numerosi articoli per l'Occidentale ed Avvenire sostenendo che quella sentenza mostrasse «il lato oscuro dell’Europa anticristiana». Si adoperò molto anche per tentare di screditare i giudici che emisero quella sentenza lodò il Consiglio di Stato per aver difeso l'imposizione di simboli confessionali all'interno di enti pubblici attraverso una fantasiosa sentenza:

Per quanto riguarda, nello specifico, la controversi circa l’esposizione del crocifisso nelle scuole, i giudici della VI Sezione del Consiglio di Stato, sempre nella citata sentenza 556/2006, hanno preliminarmente rilevato che esso rappresenta "un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi, a seconda del luogo ove è posto". Non v’è dubbio, infatti, che "in un luogo di culto il crocifisso è propriamente ed esclusivamente un 'simbolo religioso', in quanto mira a sollecitare l'adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana", mentre in una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso può comunque "rappresentare e richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile".
Secondo gli stessi magistrati, infatti, "il crocifisso può svolgere, anche in un orizzonte 'laico', diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni".

Dinnanzi a chi afferma che il crocefisso un un simbolo laico, facile diventa poi capire come questa sia la stessa gente che crede alla bufala del "gender" chiede un ritorno al fascismo nel nome di pregiudizi ed ignoranza.

Ma al solito cono i commenti dei lettori a mostrarci dove Il giornale voglia andare a parare. Tanti dicono che è necessario abbandonare l'Europa in modo da poter calpestare i diritti dei gay, altri ripetono ad oltranza i ritornelli di Adinolfi e dicono che i gay non hanno diritti perché esisterebbe un fantomatico «diritto inviolabile di un bambino ad avere una mamma e un pappà». Ovviamente non importa se il padre picchia la madre o se la madre se ne scappa con un'altro uomo e li abbandona in un cassenetto, l'importante è che un bambino non possa avere l'affetto di due genitori dello stesso sesso.
Ma dato che per i lettori de Il Giornale l'insulto omofobo è quasi una regola, c'è pure chi scrive: «Ottimo, facciamo una bella cosa, semplice semplice, mandiamo tutti i froci a Bruxelles! Li trasferiamo tutti in quella città e iniziamo a chiamarla frociolandia, tutti felici, contenti e sculettanti». Purtroppo ciò non avverrà, anche se sarebbe divertente: se i gay lasciassero l'Italia, il tracollo finanziario dettato dal mancato contributo al PIL prodotto dai gay porterebbe il bel Paese a diventare uno stato dello sesso mondo e i gay potrebbero vivere in un stato di diritto es osservare da lontano uno stato che si è condannato a morte nel nome dell'ignoranza e della tolleranza.
Perché se oggi l'Italia esiste, è grazie ai gay. Se c'è un Papa è perché un gay ha affrescato la Cappella Sistina. E questa gente continua a negare pari dignità a chi ha garantito loro la vita che stanno vivendo...
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