La Consulta stabilisce che lo stato non può imporre un'operazione chirurgica ai transessuali per la riattribuzione anagrafica del sesso


La Corte Costituzionale ha stabilito che non sarà più necessario ricorrere ad operazioni chirurgiche ai fini della rettificazione anagrafica di sesso.
In relazione al ricorso promosso dalla Rete Lenford,la Corte ha riaffermato il principio per cui resta «ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo» e ha precisato che «il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona». «La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione», ma «come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico».
Importante è stato anche il riferimento della Consulta all'art 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, che assume «il ruolo di garanzia del diritto all'identità di genere, come espressione del diritto all'identità personale (art. 2 Cost. e art. 8 della CEDU) e, al tempo stesso, di strumento per la piena realizzazione del diritto, dotato anch'esso di copertura costituzionale, alla salute».

La presidente di Avvocatura per i diritti LGBTI, avv. Maria Grazia Sangalli, esprime la sua soddisfazione per l'esito di un giudizio tanto atteso: «si tratta di una pronuncia che chiarisce definitivamente le ambigue zone d'ombra della legge 164/82 in tema di rettificazione di attribuzione di sesso. La legge non impone la modifica chirurgica del sesso, secondo una interpretazione della stessa definitivamente orientata nei termini di una valorizzazione del diritto costituzionale alla salute. L'intervento è dunque solo un possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico della persona«

Anche Ottavia Voza, responsabile politiche trans di Arcigay, non ha nascosto la propria soddisfazione: «Una sentenza importante, che chiarisce una volte per tutte un tratto ambiguo della nostra legislazione, sgravando finalmente di questa ambiguità le persone che la subivano in maniera traumatica e violenta. Ma questa sentenza non assolve la politica dai propri urgenti compiti. Questa sentenza segue l'altra della Corte di Cassazione del luglio 2015. L’aspetto positivo riguarda, nell’immediato, l’applicazione della legge 164 del 1982, rispetto alla quale chiarisce in maniera ancor più stringente che per accedere alla riattribuzione anagrafica non è necessario costringere la persona ad un intervento chirurgico di riattribuzuine primaria del sesso. Tuttavia il precedente pronunciamento della Corte di Cassazione, che recepiva sistematicamente le raccomandazioni della Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo sul divieto della sterilizzazione obbligatoria per le persone trans, sanciva il diritto alla totale autodeterminazione della propria identità di genere, svincolando le procedure di transizione da ogni complessità legata a percorsi medicalizzati. Con questa sentenza, che in sostanza renderebbe in principio non più obbligatoria una revisione della legge 164, il rischio che bisogna evitare è quello di cristallizzare la nostra norma sulla complessità attualmente prevista per il percorso di transizione, ancora sostanzialmente medicalizzato, ed ancora vincolato a procedure che prevedono complessi passaggi nelle aule dei tribunali. L’auspicio è che si riprenda, con maggior vigore, il dibattito sulla necessità di allineare la nostra normativa a quelle dei paesi più avanzati, in cui l’aspetto centrale è costituito dal diritto all’autodeterminazione delle persone trans, in un’ottica di totale depatologizzazione. Tenendo ben presente che la depatologizzazione psichiatrica della transessualità non dovrà comportare l'automatica esclusione dei percorsi di transizione dal servizio sanitario nazionale».

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