Secondo La croce di Adinolfi, l'omosessualità è «una ferita» a cui i cristiani devono «offrire una cura»


Se l'Italia fosse un'azienda, probabilmente la si potrebbe tranquillamente denunciare per mobbing. Non accenna infatti ad affievolirsi l'ondata persecutoria con cui l'integralismo cattolico cerca di alimentare disinformazione e stigma sociale.
Per le vie di Roma le locandine di Freeheld sono state imbrattate perché osavano proporre una storia d'amore tra due lesbiche. Dinnanzi alle scuole vengono continuamente affissi manifesti ricolmi di falsità con cui si intende impedire qualunque contrasto alla violenza di genere. Per le strade vengono distribuiti volantini volti a sostenere che «l'innocenza dei bambini» sia messa in pericolo da un «amorale» rispetto per le diversità.
Ma il colpo fatale è il constatare come le istituzioni non si limitino a non proteggere le minoranze, ma spesso siano in prima fila nel fomentare la propaganda anti-gay. Troppi sono i comuni e le istituzioni che hanno promosso falsità e menzogne al solo fine di sperare in un ritorno elettorale da parte del bigotti. E le preannunciate e doverose denunce da parte del Miur non sono mai partite, mentre la vita di migliaia di giovani viene messa a rischio da chi tenta di propagandare ai loro genitori l'idea che essere omosessuale sia sbagliato.

I mandanti di questa situazione sono personaggi fin troppo noti, lodati dalle alte cariche ecclesiastiche per il loro impegno nel ridefinire l'idea famiglia come una formazione sociale ideologica basata sull'esclusione. Dicono che ciò che conta non sono i progetti comuni o il contributo che si offre alla società, a contare è solo quello che si fa la letto. Anzi, l'importante è solo che il pene venga inserito in una vagina. Tutto il resto non conta.
Sarà forse questo il motivo per cui dicono che a contare debba essere solo il sesso biologico: nella loro visione della società non ci sono più uomini e donne, ma solo peni che producono sperma e vagine «sottomesse» che attendono di essere ingravidate. Ed i gay danno fastidio perché mettono in discussione tutto questo. Dicono che può esserci amore anche senza peni che ingravidano vagine o che i ruoli possano essere ridefiniti in una coppia senza che sia la tradizioni dire che è l'uomo a dover decidere e mentre la donna deve occuparsi di lavare le mutande sporche del marito.
Per legittimare simili posizioni, la scusa più abusata è la libertà di espressione. Una libertà ovviamente a senso unico (come testimoniano le continue denunce ed intimidazioni verso chi la pensa diversamente) ed incurante delle conseguenze.

A rivendicarla incontriamo molto spesso Mario Adinolfi, direttore di un quotidiano online che si occupa quasi esclusivamente di vendere omofobia un tanto al chilo. Basta pagare il prezzo di copertina e si potrà accedere ad articoli in cui l'omosessualità viene presentata come qualcosa che possa essere "curata". La scienza dice che non è possibile, ma il suo giornale dice che esistono gruppi cristiani pronti a farlo. Il tutto premurandosi anche di fornire tutti i contatti poter ottenere prestazioni che uno professionista non potrà mai fornire dato che sono state vietate e ritenute dannose dall'Ordine degli psicologi.
Per lanciare una simile offensiva, il quotidiano si premura di continuare incessantemente a far balenare nella mente dei lettori l'idea che i gay possano essere "incolpati" per la loro sessualità. È ad esempio Gandolfini che si lanciò nel firmare un articolo volto a sostenere che non ci siano motivi per non ritenere che l'omosessualità possa essere una malattia mentale. Ed ancora, è dallo scorso marzo che il quotidiano di Adinolfi si adopera nel promuovere un film che propaganda le fantomatiche teorie riparative dell'omosessualità.
Intitolato "Dio esce allo scoperto", si tratta di un film spagnolo del 2012 che evidentemente è stato tenuto al caldo per essere lanciato sul mercato italiano nel momento in cui fosse tornato maggiormente utile alla propaganda. Tecnicamente è il secondo capitolo di una serie denominata "Te puede pasar a ti" (può succedere anche a te) in cui un fanatico se ne va alla ricerca di marxisti, massoni e gay che un giorno «hanno incontrato Dio faccia a faccia per essere salvati dal peccato dalla perdizione» L'unico documentario che approdato da noi è quello che riguarda il messicano Ruben Garcia, un ragazzo che ha lasciato casa a 15 anni per iniziare a prostituirsi a Guadalajara, Acapulco e negli Stati Uniti. Sempre stando al suo racconto, un giorno incontra una donna che gli dice che Dio lo ama e ciò lo avrebbe portato alla decisione di vivere nella più assoluta castità dato che solo in quel modo la Chiesa lo avrebbe accolto fra le sue braccia.
Tanto basta a capire i due concetti chiave che sono particolarmente pericolosi: si sostiene che l'omosessualità sia in contrasto la possibilità di essere cristiani (anche se altre chiese cristiane non si fanno certo problemi a celebrare matrimoni fra persone dello tesso sesso, ndr) e si suggerisce che le azioni non siano dettate dalla proprie decisioni ma da un fantomatico «stile di vita gay». Ma soprattutto, si sostiene che il buon cristiano debba convincere i gay a non fare sesso e questa è la massima accoglienza che deve essere offerta loro. O sei come Girogio Ponte o sei fuori.

Per sostenere tutto questo, Adinolfi è ricorso proprio al solito Giorgio Ponte, il professore di religione che viene sbandierato come un trofeo dell'integralismo cattolico in virtù del suo sostenere di essere vittima di «pulsioni omosessuali» dovute a «cause psicologiche» che gli imporrebbero «comportamenti dannosi per la sua vita». Insomma, un gay che non riesce neppure a dire di essere gay perché qualcuno gli ha detto che è male esserlo (il termine da lui utilizzato è infatti quello negazionista incluso nel Catechismo della Chiesa Cattolica).
In un articolo intitolato "Dio si rivela, al cinema, nelle ferite di un gay", inizia a parlare della storia di Ruben e della sua «spirale sempre più profonda di disperazione: dal sesso occasionale, alla prostituzione, fino alla perdita dell’identità, un passo dopo l’altro, una caduta dopo l’altra Ruben percorrerà tutti i gironi dell’inferno fino a toccarne e il fondo. E sarà lì, al fondo dell’inferno, che Dio verrà a riprenderselo». Aggiunge poi:

Fin qui nulla di strano. Nella sua essenza, la storia di Ruben è la storia di tutti: nascita, morte, resurrezione.
E già questo basterebbe a spiegare perché, secondo me, questo film andrebbe visto da chiunque. Indifferentemente da quale sia l’origine del vostro male, infatti, ciò che realmente conta è che quel male non è mai né l’unica, né l’ultima parola su di voi.
C’è però un’altra ragione, e non è meno importante della prima. Ruben ha tendenze omosessuali. Sì, avete capito bene: questa è una motivazione per cui tutti farebbero bene a guardare questo film. Tutti, non solo gli omosessuali.
E arriviamo al punto: il dolore delle persone che hanno problemi di identità sessuale, riguarda solo queste persone? Semplifico la domanda: il dolore di ciascuno è affare solo suo? Io non credo. E non solo io, a quanto pare. Almeno secondo quanto riportato dall’allora cardinale Ratzinger nella Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali: Nella Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale del 1975, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva sottolineato il dovere di cercare di comprendere la condizione omosessuale. […] Ma occorre chiarire bene che ogni allontanamento dall’insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. […] Un programma pastorale autentico aiuterà le persone omosessuali a tutti i livelli della loro vita spirituale[…]. In tal modo, l’intera comunità cristiana può giungere a riconoscere la sua vocazione ad assistere questi suoi fratelli e queste sue sorelle, evitando loro la delusione e l’isolamento.
Capite? L’intera comunità cristiana ha il dovere di comprendere.

Fermo restando che Rubun è una transessuale e che quindi non è omosessuale (altrimenti non ci sarebbero due termini per indicare la medesima cosa), difficile è non notare come si sostenga che l'omosessualità sia un «problema di identità sessuale», sia fonte di «dolore» e che richieda una «cura pastorale». Non manca anche l'abusato riferimento ad un qualche prelato, quasi dovesse bastare questo per proporre come dogma quella che è una discutibilissima opinione personale di un uomo che non ha mai brillato per la sua apertura verso la comunità lgbt.

A quel punto Ponte passa a sostenere che l'omosessualità abbia cause psicologiche (evita di pronunciare la parola "malattia" quasi a fatica) ed aggiunge:

Ma la buona volontà non è sempre sufficiente. Bisogna anche fornire gli strumenti, non solo spirituali, ma anche psicologici e umani perché i pastori e le comunità possano capire davvero e in maniera adeguata la situazione e il dolore di chi ha tendenze omosessuali, per potere aiutare nel modo giusto questi fratelli, prima di tutto senza lasciarli soli.

Fermo restando che i gay sono semplicemente gay e non certo «persone con tendenze omosessuali», da sottolineare è anche come molti di loro siano felicissimi e non certo colmi di «dolore» come qui si ipotizza. Sino a prova contraria, gioia e dolori sono parte del vissuto del singolo, non certo conseguenza di un orientamento sessuale. Se a Ponte crea dolore non poter avere la sessualità che gli è stato detto sia quella giusta, non si capisce con che autorità voglia riflettere la sua personalissima esperienza sugli altri.

Si passa così a lanciare giudizi morali contro Monsignor Krzysztof Charamsa, da lui definito «signor Charamsa» giusto per far capire che non lo reputa più meritevole di rispetto, e dice:

Le sue dichiarazioni hanno confuso e scandalizzato molti, me compreso. E tuttavia, se davanti a episodi del genere continueremo solo a scandalizzarci per poi voltarci dall’altra parte, temo che i signori Charamsa nella Chiesa non faranno altro che proliferare.
Non voglio giustificarlo: Charamsa è un teologo e quindi possiede tutti gli strumenti culturali e intellettuali per sapere che quando dice che “la Chiesa chiede ai suoi figli omosessuali di rinunciare alla vita amorosa”, sta dicendo una pura menzogna.

Ed è così che si passa a suggerire le modalità con cui genitori e sacerdoti possono cercare di "curare" l'omosessualità attraverso l'intervento di un qualche gruppo fondamentalista possa tentare di inculcare in loro dei sensi di colpa. E non a caso si indica quella tessa società che viene indicata all'interno del film (nonché la stessa che oggi paga lo stipendio al protagonista):

Una testimonianza di vita che in un’ora e mezza pone luce sia sulle ferite legate all’omosessualità che su quelle legate alla transessualità, ma che soprattutto, al di là della storia specifica di Ruben, mostra una grande speranza, una via possibile per tutti quei fratelli che vogliono vivere nella Chiesa e che da essa si sono allontanati, convinti che qui non ci fosse un posto per loro.
Una via che nel concreto può passare anche da Courage (www.coura***lia.it), l’unica (e sottolineo unica) realtà esistente nella Chiesa, voluta da Giovanni Paolo II, che si occupa di aiutare le persone omosessuali a vivere secondo il Magistero in castità, rispettando la natura del proprio corpo. Una realtà di cui Ruben fa parte attivamente oggi, andando persino a fare apostolato nei locali gay.
Parlo a te che stai leggendo ora e che magari hai un fratello che ti ha confidato il suo dolore e non sai come aiutarlo; o a te che sei un sacerdote e ti chiedi come si possa parlare al tuo parrocchiano che confessandosi piange l’ennesimo rapporto col suo ragazzo; o a te che vivi il turbamento di non capire cosa stia passando tuo figlio e ti rendi conto che forse qualcosa te lo sei perso per strada; o a te che vorresti amare i tuoi amici senza fargli male, ma senza dover rinunciare a testimoniare la tua fede: guardate Dio esce allo scoperto.

In altre parole, un cristiano dovrebbe cercare di rendere etero i gay perché così vuole il Papa. E poco importa se non ci sia nulla da "curare" in chi ha un naturalissimo orientamento sessuale diverso da quello di Adinolfi. Peccato che in tutto questo ci sarebbe da riflettere se il più bisognoso di aiuto non sia forse proprio chi non riesce ad accettarsi e si scandalizza se qualcuno osa dirgli che la sua sessualità non è un peccato.
Fatto sta che il 20 novembre prossimo Giorgio Ponte presenzierà e porterà la «la sua testimonianza» alla proiezione del film organizzato nel cinema della parrocchia San Michele Arcangelo di Magnago (in provincia di Milano) e la locandina suggerisce la visione del film anche a ragazzi di 14 anni.
Per conoscere le date delle altre proiezioni è invece richiesta l'iscrizione ad una mailing list che collateralmente provvederà ad inviare «aggiornamenti su futuri progetti di evangelizazione».

Più difficile è invece cercare di capire chi ci sia dietro la casa di produzione, la Infinito Mas Uno. Sul sito della sezione italiana si limitano ad identificarsi con Gesù Cristo, sostenendo che «Infinito+1 è nata 2.000 anni fa. E’ solo una forma nuova di raccontare la stessa Buona Notizia, attraverso il cinema, la TV e Internet». Il sito spagnolo ci fornisce invece l'indirizzo di una società a responsabilità limitata con sede a Valenzia ma, soprattutto, è più chiaro sulle reali finalità del film. In riferimento alla pellicola promossa da Adinolfi, tra i link suggeriti figura chiaramente anche il Narth, ossia il National Association for Research & Therapy of Homosexuality di Joseph Nicolosi.

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