La testimonianza di UranoRebel: «Io ero un Giorgio Ponte. Ma chi vive davvero non si butta via»


In rete è conosciuto come UranoRebel, ed è lui l'autore di una bellissima lettera indirizzata a Giorgio Ponte. Com'è noto, Ponte è un professore di religione che è ben presto divenuto l'idolo dei cattolici per il suo dirsi omosessuale contrario ai diritti dei gay. Manifesta con le Sentinelle in piedi, partecipa ai salotti televisivi per dire che la sua «condizione» lo rende immeritevole di avere una famiglia e scrive articoli per Adinolfi con cui legittimare l'odio verso i suoi simili. Il tutto mentre qualcuno lo sfrutta come un'arma da esibire per tentare convincere i bigotti che non c'è violenza nell'omofobia dato che, a loro dire, la maggior parte dei gay non ambirebbe a vivere ma a diventare persone represse pronte ad annullarsi pur di non dar fastidio ai loro carnefici. e tutto ciò contando su come il professore sarà sempre lì pronto a dire che le cose stanno proprio così e che la Chiesa gli vuole un gran bene nell'aver cercato di vietargli qualsiasi sentimento che non sia prettamente eterosessuale.

Ed è su questo scenario che le parole di UranoRebel assumono il significato di testimonianza, attraverso il suo scrivere che:

Io ero un Giorgio Ponte. E vivevo come lui. In una delle mie tante vite infatti ero un omosessuale represso che detestava il proprio orientamento e cercava in ogni modo di combatterlo, recuperare ciò che pensava che in un momento preciso della sua vita era andato smarrito. Ero un ragazzo che aveva scelto di rifiutare una parte di sé per credere ad una promessa di presunta normalità da parte di chi, tra l’altro, viveva una situazione tutt'altro che normale, appartenente alla maggioranza.
Qualcuno conosce Giorgio Ponte, insegnante di religione, scrittore, sentinella in piedi, assiduo frequentatore delle pagine de
La Croce, dei salotti di Tv 2000 e degli incontri, sempre più frequenti, organizzati nelle parrocchie e negli spazi pubblici da associazioni cattoliche estremiste. Giorgio Ponte afferma di avere tendenze omosessuali e di aver scelto la via indicata dalla Chiesa in quanto unica percorribile per uno come lui.
Per uno come me. Per uno come noi. Perché per lui l’omosessualità non è un orientamento ma una tendenza, un più o meno volubile difetto dell’individuo provocato da cattive abitudini o dai genitori.
Ovviamente è sempre colpa dei genitori, perché secondo la Terapia riparativa di Joseph Nicolosi (condannate dalle autorità scientifiche perché fisicamente dannose) le cause dell’omosessualità dipendono da un padre assente (o violentatore, manesco, cattivo, va bene tutto) e una madre oppressiva e onnipresente (come il 99,9% delle mamme di tutto il mondo per degli adolescenti).

Si passa così al constatare come dietro tutti i gruppi che vogliono cambiare i gay ci sia sempre e comune la Chiesa Cattolica, pronta ad appellarsi a teorie ampiamente screditate che appaiono utili solo a diffondere pregiudizi e a giustificare la discriminazione:

Nel 2015 sembra impossibile che ci siano gruppi che ritengono contro ogni evidenza scientifica l’omosessualità una “ferita dell’affettività“, una malattia da estirpare o quantomeno da annichilire con l’astinenza sessuale e tanta preghiera. Eppure è così anche in Italia, dove i cattolici osservanti sono uno zerovirgola molto rumoroso ma inconsistente. Le terapie riparative cui fa riferimento Giorgio Ponte sono portate avanti da diversi gruppi non ufficiali che si nascondono dietro titoli quali “seminari di preghiera“, ma che in realtà violentano psicologicamente uomini e donne che non accettano serenamente la loro omosessualità e trovano chi fomenta repressione e senso di colpa e che prospetta come unica soluzione possibile al malessere che si portano dentro un’angosciosa castità sessuale.

Quella non è la realtà, dato che la scienza ha le idee ben precise al riguardo. Tesi che le vittime dell'integralismo cattolico rischiano di perdere di vista a causa dei sensi di colpa e delle pressioni psicologiche che vengono esercitate su di loro:

La scienza ha ormai affermato senza ombra di dubbio che l‘omosessualità non è una malattia, non è una “ferita”, non un incidente dell’adolescenza, ma una normale variante della sessualità umana. C’è sempre stata e sempre ci sarà anche se nei secoli è stata vissuta in modi diversi, in base alle concezioni e agli usi del tempo. E’ scandaloso che oggi ci siano persone come Giorgio Ponte che parlino a degli adolescenti (tra l’altro lui è un insegnante di religione, scelto dal vescovo, pagato dagli italiani) di una possibilità di “ritorno” all’eterosessualità, illustrando come abominevole il sesso omosessuale che definisce “buttarsi via”. Lui tra l’altro non parla mai di orientamento, ma di tendenza, sminuendo anche l’amore tra due uomini o due donne, perché evidentemente impossibile.

Un altro evergreen di questa gente è il sostenere che l'essere gay ci renda persone peggiori, incapaci di amare e di avere rapporti che vadano al di là di una sveltina consumata in un qualche squallido parcheggio. Ma UranoRebel osserva argutamente che:

Ponte, come Di Tolve e tutti coloro che vivono problematicamente la sessualità racconta esperienze estreme in ambienti degradati, il sesso vissuto sempre clandestinamente, una botta e via in qualche squallido parcheggio con gente che immancabilmente li ferisce perché sparisce dopo ogni incontro. Ognuno sceglie come vivere il sesso e mai mi sognerei di criticare chi sceglie relazioni mordi e fuggi finalizzate alla soddisfazione sessuale. Contesto la clandestinità data dal senso di colpa, dalla repressione, quegli atti vissuti animalescamente col pensiero della confessione detergente che li aspetta insieme a lacrime di coccodrillo. Ponte ha vissuto male la sua sessualità perché incapace di aprirsi agli altri tanto era ed è ancora oggi concentrato su di sé. Lui è stato la brutta esperienza di chi è capitato sulla sua strada.
Chi ha amato ed è in grado di farlo sa che una relazione omosessuale non ha nulla di diverso da una eterosessuale. Il sentimento qualifica il rapporto e scatena dinamiche di complicità affettive e progettuali identiche. Ma tutto questo è negato ferocemente da Ponte e da quelli come lui. Siccome loro sono incapaci di vivere una relazione amorosa serena e appagante allora deve essere la stessa cosa per chiunque, perché il problema diventa l’omosessualità, non quella repressione che li ha chiusi all’amore.

Quasi a voler prevenire il vittimismo di chi accusa i gay di non permettere la libertà di parola di chi li apostrofa come malati o pervertiti, si precisa che queste posizioni non cono contro qualcuno, ma in difesa di tutti quei bambini che rischiano di dover passare attraverso l'inferno che è spettato a noi.
In fondo qualcosa dovrà pur significare se tutti i gay raccontano un vissuto e solo alcuni eterosessuali ideologizzati sono impegnati nel contenere il contrario, magari appellandosi a quelle due o tre vittime che hanno creato.

Ma se resta un fatto personale Ponte può vivere la sua omosessualità come meglio crede, anche rinnegandosi. Butta la sua vita, ma è la sua, ne faccia ciò che vuole. Quando però incontra degli adolescenti che hanno a che fare con l’omosessualità e che stanno formando le loro convinzioni le cose cambiano. Quanti danni può fare un Giorgio Ponte ad un ragazzino che sta scoprendo di essere gay? E quanti a ragazzi etero che si sentiranno autorizzati a bullizzare la checca della classe? Nelle scuole il riferimento deve essere la scienza, non la religione, a maggior ragione quando in nome della seconda si pretende di screditare o rimodulare la prima.
Io so cosa vuol dire sentirsi sbagliati, malati, un inciampo peccaminoso della creazione. La chiamavo tentazione, non orientamento e pregavo, cazzo se ho pregato quel dio di cui qualcuno giura di essere il portavoce, ma la conseguenza di quel percorso verso la redenzione eterosessuale o l’astinenza sessuale come ultima ratio era la repressione di ciò che di più profondo e intimo avevo. La conseguenza era una tristezza infinita, un’angoscia funebre che mi ha rovinato gli anni che sulla carta della promessa di vita sarebbero dovuti essere i più belli. Li ho sprecati in nome di un rifiuto indotto dalla maledetta, irrazionale, criminale terapia riparativa, a volte venduta con altri nomi, ma che era sempre lei sotto mentite spoglie. Ho rifiutato me stesso e la gioia di non vergognarmi mai al punto da desiderare di non vivere più, perché un po’ è vero, se ti rifiuti arrivi a rifiutare tutto di te, compresa l’esistenza che viene a perdere di senso. È una forma di depressione indotta e che oggi ritrovo nelle vite tormentate di questi gay repressi che annullano loro stessi in funzione dei dettami religiosi. Per tentare di superare il disagio della non accettazione chiudono gli occhi e credono con tutte le loro forze che quel che sostiene la Chiesa sia giusto e che rappresenti l’unica via per arrivare a quella felicità agognata e sempre così distante.

In conclusione aggiunge:

Ho pena e rabbia per Giorgio Ponte, perché tanti anni fa dicevo le sue stesse cose e mi rendo conto di essere stato fortunato a uscire da quel loop psicologico. Gli auguro di riuscire ad aprire gli occhi e liberarsi dal giogo delle catene che lui stesso ha annodato intorno ai polsi. E’ dura, soprattutto perché in tanti lo strumentalizzano per insultare gli omosessuali orgogliosi e lo usano come arma per discriminare. Mi fa rabbia la sua spocchia con la quale avvolge di sicurezza le stronzate che dice a ragazzi inconsapevoli, e non posso far altro che biasimare lui e tutti coloro che in nome di un paradiso inesistente distruggono le loro vite e auspicano di farlo con quelle di tanti altri.

Clicca qui per leggere la lettera integrale sul blog di UranoRebel.
2 commenti