Non c'è nulla di meno cristiano del Family day


Il Family day è tutto fuorché un evento che possa definirsi cristiano. Per mesi l'integralismo cattolico ha calpestato l'ottavo comandamento, basando la propria campagna di disinformazione sulla falsa testimonianza. Ha calpestato il secondo comandamento attraverso l'uso del nome di Dio per scopi politici e c'è da chiedersi se non sia stato calpestato anche il quinto comandamento dinnanzi alla legittimazione di quei pregiudizi che hanno spezzato le giovani vite di troppi giovani.
Eppure questa gente è ancora lì, ancora una volta pronta ad usare il nome di Dio per chieder che le altre famiglie non abbiano i loro stessi diritti e che i figli degli altri non abbiano le medesime tutele dei loro. La manifestazione del 30 gennaio rischia di essere l'apoteosi di ciò che viene chiaramente condannato nella Genesi, drammatica immagine di un popolo che vuole sostituirsi a Dio nel giudicare gli altri. Quello fu all'origine del peccato originale e quello è ciò che qualcuno sostiene debba essere compito nel nome di Dio.
Esseri mortali come Gianfranco Amato, Mario Adinolfi o Toni Brandi, ritengono di poter decidere che cosa sia naturale, sostituendosi a Dio attraverso un giudizio elargito sulla base della propria esperienza personale. Ogni loro asserzione si basa sulla presunzione di essere la massima espressione del creato, motivo per cui qualunque diversità viene temuta in quanto fonte di confronto.
Peccato che tutto ciò ci porterebbe a dover presumere che Dio abbia fallito e che il loro pregiudizio valga più del suo operato. Dovremmo presumere che la diversità sia un errore di Dio a cui qualcuno vuole porre rimedio attraverso leggi discriminatorie. Quelle stesse leggi che Dio ha ritenuto di non dover imporre, altrimenti vivremmo senza libero arbitrio in una vita già decisa da una qualche entità superiore.

Chiunque abbia letto i Vangeli sa bene che Gesù invitava le persone a seguirlo. Non obbligava nessuno. Di contro, questa gente chiede che i simboli cristiani siano imposti ai bambini, che gli islamici siano bombardati o che le persone con un diverso orientamento sessuale debbano gratificarli uniformandosi a loro. Non si ha più fiducia nell'opera di Dio, ma si cerca di plasmare il creato a propria immagine e somiglianza nella convinzione che ciò possa farli sentire più simili a Dio.
È una fede debole, di chi reputa che il messaggio cristiano non abbia la forza necessaria per poter sopravvivere attraverso l'annuncio. Solo chi non ha fede pensa che Dio non sia presente se non lo si raffigura con un qualche oggetto, così come solo un violento potrebbe ritenere che il vangelo vada imposto al pari di una medicina dal gusto cattivo. Ma il cristianesimo non è questo. Il cristianesimo è ciò che si dovrebbe liberamente scegliere di seguire perché attratti da un messaggio d'amore che si intende vivere in prima persona. Così operava Gesù, proponendo un messaggio e concedendo la libertà di decidere se seguirlo o meno.
Non solo. Gesù ruppe ogni tabù della sua epoca. Ruppe qualunque tradizione e si oppose a qualunque ipocrisia. Com'è possibile che qualcuno ora voglia tirarlo in causa per sostenere che le tradizioni siano immutabili? Quella era la posizione di chi chiese la liberazione di Barabba, non certo di chi si dice credente.

Verso la fine del suo ministero, Gesù si rivolse ai suoi discepoli e disse: «Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e ne sedurranno molti. Or voi udirete parlar di guerre e di rumori di guerre. Ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo non sarà che il principio di dolori».
Dinnanzi a simili parole paiono sgretolarsi le teorie sostenute da periodici come Tempi, pronti a sostenere che si debba partecipare a manifestazioni contro i diritti altrui perché alcuni vescovi dicono che vada fatto. Si invita all'obbedienza cieca, quasi come se l'uomo non fosse più il protagonista delle sue scelte ma una barca senza timone in balia della corrente.
Qui il rischio è di divenire come quei nazisti che si difesero dicendo: «Non lo sapevo... io eseguivo solo degli ordini». Eppure qui è facile informarsi. Migliaia di articoli hanno svelato le bugie cavalcate dall'integralismo cattolico, centinaia di giuristi hanno chiaramente spiegato come le loro richieste creino danno ai figli altrui. Non c'è più spazio per le scuse, soprattutto dinnanzi a chi volontariamente sceglie di seguire la via della discriminazione.

Qualcuno arriva persino a sostenere che il riconoscimento della pari dignità alle famiglie altrui sia da ritenersi una «minaccia» alla propria identità. davvero qualcuno crede così poco nella famiglia da sostenere che la stabilità del proprio nucleo familiare si basi solo sull'oppressione altrui in un clima in cui non debbano esistere alternative?
Chi preferisce il pandoro al panettone, probabilmente potrà tranquillamente continuare a mangiare pandori anche in un negozio in cui vengono venduti altro dolci. Eppure qui si è dinnanzi a chi dice si sente minacciato dalla possibilità che qualcun altro possa mangiare il panettone, esigendo leggi che ne vietino la vendita dato che non si è così certi di preferire ciò che si ha nel piatto. È un'assurdità, vero, ma è proprio questa la richiesta di chi pare non credere più nella famiglia e che scende in piazza dicendo di volerla «difendere» attraverso atti che la rendano l'unica possibilità possibile.
È la logica a suggerirci che chi crede davvero in nella famiglia, probabilmente sarà il primo a volerla vedere riconosciuta in ogni sua forma, perché non c'è nulla di più bello che vivere le proprie scelte sapendo che si darebbero potute scegliere altre strade.
In fondo chi va a sciare prova emozioni nello scegliere la pista nera rispetto a quella per principati, ma probabilmente non sarebbe lo stesso se quella fosse l'unica alternativa possibile. La scelta è un'emozione solo quando viene presa coscientemente e con consapevolezza.

Detto ciò, appare evidente come dio non c'entri nulla con una piazza che darà libero sfogo alla paura di chi teme le scelte, non crede nella famiglia e subita sulla sua rettitudine al punto da voler eliminare qualunque possibile confronto. Gli organizzatori sostengono che se parteciperanno in tanti, allora bisognerà dare ragione a quelle richieste. Peccato che sia facile concentrare la paura, così come rischioso è il volerla assecondare.
E chi si ostina a citare Dio a sproposito, si ricordi che fu quella stessa paura a condurre la folla a preferire Barabba a Gesù.
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