Avvenire spergiura che il matrimonio egualitario sia incostituzionale (ma è solo un'opinabile congettura spacciata per verità rivelata)


Probabilmente l'Italia sarebbe un Paese migliore se i vescovi passassero più tempo ad occuparsi dell'amore di Dio piuttosto che giocare a moderni azzeccagarbugli alla costante ricerca di espedienti con cui promuovere l'odio. Ma così non è. Bagnasco non si fa problemi a coprire i preti che si macchiano del reato di pedofilia, non si occupa della povertà del mondo ma è sicuro che essere cristiani significhi impedire il riconoscimento dell'amore fra due persone dello stesso. Pare quasi che il loro unico obiettivo sia vietare l'amore.

Ed è così che il quotidiano dei vescovi è perentorio nel titolare "La Consulta è chiara: il no alle nozze gay è nella Carta". Dato che numerosi giuristi non individuano quale sarebbe quel divieto e considerato come la sentenza dica tutt'altro, per comprendere il motivo della loro convinzione non resta che leggere l'articolo. Dicono:

La regolazione delle relazioni tra persone di egual sesso deve tener conto di princìpi sanciti dalla Consulta, che nella sentenza 138/2010 ha definito sia il fondamento giuridico a tutela della famiglia (articolo 29 della Costituzione: «La Repubblica garantisce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio») sia quello delle unioni di altro tipo (articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità»).

Ed ancora:

La Consulta, nella pronuncia 138/2010, pone una premessa: «Si deve escludere che l’aspirazione » al riconoscimento di unioni diverse da quelle familiari «possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio». Ed è qui che la Corte dimostra come la Costituente non avesse voluto occuparsi di coppie gay: «Come risulta nei lavori preparatori - si legge in sentenza - la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta». Insomma, i padri costituenti le unioni gay vollero né vietarle, né disciplinarle. Ma solo dare un’indicazione implicita: quando mai fossero state regolate, avrebbero dovuto essere altro dal matrimonio.

Ecco dunque che la loro certezza non è altro che un'opinabile congettura, basato nel negare le evidenze scientifiche che mostrano come le famiglie gay siano naturali tanto quanto quelle eterosessuali. Si sostiene che la famiglia sia solo quelle eterosessuale e si attribuisce alla Carta il loro pregiudizio.
Ma quella loro congettura diviene una certezza e la distruzione della dignità umana una missione che viene compiuta sulla base di una crociata integralista che non ha nulla di diverso dalle rivendicazioni dell'Isis. Ad animare i prelati è ancora una volta quello stesso odio che li ha portato a sterminare milioni di donne, perseguitare i mancini, ridurre in schiavitù i neri. E nel terzo millennio non poteva mancare una nuova shoa volta dai vescovi.

Non soddisfatti tutto ciò, il vescovi attaccano anche il ddl Cirinnà e lamentano:

E il ddl Cirinnà? Su 23 articoli, almeno 10 o rinviano direttamente a quelli sul matrimonio, o impongono di parificare al coniuge il convivente registrato. Altri, invece, non rimandano agli articoli sulle nozze, ma ne ricalcano il testo. Per esempio, quello che impone in capo alle parti dell’unione «l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione» (articolo 3): ecco una delle tante disposizioni che estendono i fondamenti del matrimonio (addirittura implementandoli, visto che l’obbligo alla convivenza dalle norme nuziali è stato espunto) alle coppie dello stesso sesso.

Sarà, ma la promozione della fedeltà e della cooperazione reciproca dovrebbero essere insiti persino nel cristianesimo, motivo per cui l'opposizione a quei riprincipi non è solo una violenza verso le famiglie gay, ma è anche un atto cristiano.
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