Quando Adinolfi derideva l'omofobia di Giovanardi


È facile maturare una forte antipatia nei confronti di personaggi come Mario Adinolfi, così incuranti della dignità altrui al punto da giocare con la loro vita e con la loro sensibilità. Un uomo che gongola dinnanzi a diritti negati grazie alle sue menzogne è un pugno nello stomaco. E un pensiero va anche a tutti quegli adolescenti che a causa sua stanno magari hanno difficoltà nel potersi esprimere o non vedono l'ora di poter abbandonare un'Italia dove pare non esserci posto per le vittime dell'integralismo cattolico.
C'è anche l'impressione che per il patito di poker (sposatosi per la seconda volta a Las Vagas proprio in onore del gioco d'azzardo) stia trattando la vita altrui come una partita di carte. Poco importa se in ballo ci sia la felicità o il diritto alla famiglia di alcuni bambini, si bluffa e si cerca di portare a casa il piatto. Il tutto, peraltro, senza rischiare nulla dato che in ballo non ci sono certo i suoi diritti: che si vinca o che si perda, saranno gli altri a pagare il conto mentre lui si godrà i soldi guadagnati attraverso un giornale che ha messo un prezzo di copertina alla legittimazione dell'odio.
Ad aggravare il tutto è l'impressione che lui non creda ad una sola parola di ciò che dice, quasi come se fosse un freddo calcolo di ciò che può condurre al profitto maggiore.

Oggi afferma di aver sempre detto che la legge sulle unioni civili dovesse essere ritirata anche nel caso di stralcio delle stepchild adoption. Nel 2012 si diceva favorevole alle unioni civili alla tedesca, appoggiando anche l'adozione dei figli già nati. Nel 2007 si propose alle primarie del Pd, dicendosi favorevole al matrimonio fra persone dello stesso sesso. In pochi anni si è passati dal proporre il matrimonio al chiedere che i gay non siano riconosciuti come coppia, sostenendo che i diritti individuali siano il massimo a cui debbano ambire.

Nel 2010 lanciò The Week, un progetto editoriale fallimentare che si basava sul sostenere che «i vecchi» fossero un freno allo sviluppo del Paese. La sua idea è che solo le persone nate dopo il 1° gennaio 1970 (ossia lui) erano degne di occuparsi della cosa pubblica. Anzi, nel dicembre del 2010 si lamentò anche che «il 75enne Berlusconi» non fosse ancora morto.
Ora si lagna se il 73enne Bagnasco non può decidere il meccanismo di votazione delle leggi all'interno del Senato, sostenendo che la laicità dello stato sia da ritenersi un affronto ai cristiani. Eppure il cardinale è nato il 14 gennaio 1943, ossia ben prima del 1° gennaio 1970 che lui indica come data unica di chi abbia diritto a partecipare alla cosa pubblica.
Nel 2010 osannava Obama ed usava la sua immagine per promuovere il suo giornale. Celebrò il modo con cui riuscì ad abbattere il «Don't ask, don't tell» e i suoi lettori non esitarono a commentare che gli Stati Uniti fossero tutto un'altro monfo rispetto all'Italia bigotta. Ora è lui uno dei principali responsabili dello svantaggio culturale e sociale di un'Italia affossata nel pregiudizio medioevale.
Allo stesso modo oggi appoggia la battaglia omofoba di Schifani ma nel 2010 lo insultava chiamandolo «Schifolo». Oggi attacca la magistratura, ma nel 2011 si lamentava che una riforma della giustizia non era una priorità del Paese dato che era più importante occuparsi del sociale (anche se ora dice che sono i diritti civili a non essere più una priorità...).

Esaustivo è il contributo portato da un video del 2011. Ai tempi, in qualità di direttore di The Week pubblicò un servizio dedicato ad un flash mob organizzato in un negozio Ikea per protestare contro l'omofobia di Giovanardi, quando l'allora sottosegretario con delega alla famiglia si era infatti scagliato contro una pubblicità del colosso svedese, lamentando come avessero rappresentata una coppia gay associata allo slogan "Siamo aperti a tutte le famiglie".
Basta osservare il montaggio per notare come il servizio fosse volto a mettere in buona luce le coppie gay, sottolineando con musiche romantiche i loro baci e lasciando ascoltare le note di una canzone satirica dedicata al senatore. C'era pure aria di derisione verso un anziano che era intervenuto perché infastidito dallo scambio di baci fra ragazzi. Forse a corto di argomentazione, se n'era pure uscito con il solito «ci stanno i bambini».
A confermare tale lettura sono anche i commenti dell'epoca. Un ragazzo criticava l'anziano e lamenta: «il signore purtroppo esprime il modo di ragionare di tante persone ignoranti esistenti al mondo, è davvero una tristezza». Un altro ironizzava: «Allora d'ora in poi che nessuno osi pomiciare per strada! Neanche un bacetto! Manco mezzo! Solo a casa. Gay, etero, bisex, trans... la legge è uguale per tutti. Solo in questa chiave si può, a limite, dar ragione al signore».
Ora Adinolfi non solo sposa l'omofobia di Giovanardi, ma si occupa anche di legittimare l'omofobia delle persone che solo cinque anni fa derideva per il loro astio nei confronti dell'omosessualità. E, presumibilmente, tutto questo avviene perché il suo progetto editoriale dedicato ai giovani è naufragato ed è stato sostituito con un progetto rivolto prevalentemente agli anziani e ai loro pregiudizi.

Clicca qui per guardare il video pubblicato dalla rivista di Adinolfi nel 2011.
5 commenti