ProVita: «Riconoscere i diritti dei gay discrimina chi li ritiene contro natura»


L'associazione ProVita non perde mai una sola occasione per legittimare l'odio, spesso specificando come le azioni violente debbano necessariamente colpire l'altro. Né Brandi né i suoi redattori sarebbero pronti ad indietreggiare di un solo passo nel rivendicare i loro diritti, ma ai loro occhi il diritto altrui è un qualcosa di calpestabile perché non porta ad un guadagno personale.
La loro ultima crociata è colta a sostenere che se un cristiano usa Dio come arma di odio, allora deve essere sollevato dal rispetto di qualunque legge. Attraverso il loro sito, si lanciano nello scrivere:

Negli ultimi dieci anni i conflitti tra la libertà di coscienza e le politiche LGBT sono cresciuti rapidamente. Gli attivisti LGBT pretendono che la libertà di coscienza sia subordinata ai loro “nuovi diritti civili”, mettendo a repentaglio il sistema universale dei diritti umani in sé.
Tutti gli esseri umani possiedono quei diritti fondamentali grazie alla dignità della natura umana. Le persone LGBT, in quanto persone, non fanno eccezione. Nessuno ha dei diritti in base al proprio orientamento sessuale. Perché le persone LGBT dovrebbero averne? La violenza nei confronti di omosessuali non è né più né meno grave della violenza contro qualsiasi essere umano.

Dopo aver sostenuto che i gay non hanno diritti e che sia doveroso potersi opporre a qualunque legge li riguardi, si passa a sostenere che il riconoscimento dei matrimoni fra persone dello stesso sarebbe in un qualche modo illegittimo:

Quanto al matrimonio, la DUDU, all’art. 16 recita: “Uomini e donne in età adatta, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”.
Nel 1948, i redattori della DUDU ovviamente davano per scontato che il matrimonio fosse tra una donna e un uomo. Ma ora, l’attivismo LGBT si adopera per ridefinire il dettato della norma citata.

La tesi di Brandi è che se nel 1948 si pensava solo matrimonio eterosessuale, allora quello è da intendersi come un dogma immutabile. Un principio che poterebbe Brandi a non poter rivendicare alcun diritto di parola dato che la sua propaganda corre su Internet mentre tutte le leggi sulla libertà di stampa sono state redatte quando ancora nessuno poteva immaginarsi l'avvento della rete. Se la legge sui matrimoni dovesse essere cristallizzata, perché mai non dovrebbe esserlo anche quelle a cui lui si aggrappa per i propri interessi personali?
Ma dato che al peggio non c'è mai fine, l'associazione passa a sostenere che sia ingiustizia che la gente possa essere licenziata se si rifiuta di svolgere i propri incarichi secondo quanto previsto dalla legge. Il tutto, con tanto di una frase agghiacciante volto a negare il principio stesso dell'uguaglianza:

Nel 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha confermato la decisione del governo britannico che ha imposto a un funzionario di redigere la certificazione di matrimonio omosessuale e a un professionista di fornire la sua consulenza psico-sessuale alle coppie dello stesso sesso. Entrambi avevano dei collaboratori disposti a fornire questi servizi, al posto loro. Eppure, la CEDU ha approvato il licenziamento dei due lavoratori in questione. In questo modo, pare, il concetto di “uguaglianza” (distorto, perché una coppia omosessuale è oggettivamente diversa da una coppia eterosessuale) prevale sul diritto fondamentale di libertà.

Secondo tale teoria, qualunque sindaco leghista dovrebbe potersi rifiutare di celebrare matrimoni con persone di colore, qualunque fascista potrebbe sostenere che la sua coscienza lo porti a preferire la bandiera con la croce uncinata al tricolore, insomma, tutto sarebbe legittimo.
Ma dato che gli articoli di ProVita non vogliono mai avere una logica ma solo risultare utili alla loro propaganda, ecco che si arriva a sentenziare:

Ma nessun diritto umano, se è un vero diritto umano, universale, fondato sulla dignità umana, può comportare la violazione di un altro diritto umano.

Ironia della sorte, a scrivere questa frase è proprio un'associazione che mira ad imporre la propri ideologia per via legislativa, calpestando quotidianamente la dignità umana altrui. Ed è forse sulla base di quella agghiacciante contraddizione che si passaal tragicomico, con un esempio decontestualizzato che pare mancare di rispetto verso l'intelligenza dei loro lettori:

Pensiamo un attimo se in nome della libertà si potesse sacrificare il diritto alla vita: si ripiomberebbe immediatamente nella jungla: il più forte sopprime il più debole che “limiti” la sua libertà (la ratio che giustifica l’aborto e l’eutanasia è proprio questa, purtroppo). Quando un principio del genere sarà del tutto sdoganato, giustificheremo tutti quelli che si fanno giustizia da sé.

Insomma, la premessa è sempre quella: chi chiede diritti sta compiendo una gravissima violazione, chi impone discriminazione ed odio deve poterlo fare se la pensa esattamente come Brandi. Pare proprio che la legge del più forte sia quella a cui ProVita si appella quotidianamente ed è ironico la utilizzino per fare mero populismo. la premessa è infatti evidente: Brandi e i suoi si considerano migliori e più meritevoli, al punto da sostenere che la vita altrui sia una violazione della loro libertà di discriminazione.

Ormai diretti verso il baratro dell'assurdo, l'articolo passa poi a sostenere che si debba avere il pieno diritto di poter diffamare l'altro anche contro ogni evidenza scientifica. Ed è così che Brandi rivendica la possibilità di poter andare in giro a dire che un atteggiamento perfettamente naturale e sano sia da etichettare come una sorta di malattia da condannare.
Sarà, ma se qualcuno dicesse a Brandi ciò che veramente pensa di lui, ci sarebbe da scommetterci che lui sarebbe il primo a sporgere denuncia per diffamazione. Lui deve poter diffamare i gay diffondendo false teorie volte solo ad alimentare violenze, gli altri non devono neppure poter esercitare il più basilare diritto di pensiero (così come dimostra l'archiviazione delle denunce presentate dal suo gruppo, veri e propri attacchi intimidatori che i giudici non hanno reputato meritassero di essere prese in considerazione). Ed è da quella base che attaccano anche le dichiarazioni internazionali:

Dalla Dichiarazione di Yogyakarta in poi, l’attacco alla libertà di coscienza si fa sempre più serrato. Il Principio 21 (b) stabilisce che i governi devono “Assicurare che l’espressione, la pratica e la promozione di diverse opinioni, convinzioni e credenze per quanto riguarda le questioni di orientamento sessuale o l’identità di genere non siano in conflitto con i diritti umani”. Qui sta in nuce il “diritto” di violare la libertà di coscienza di chi ritiene che gli atti omosessuali siano contro natura, contro la felicità e la dignità degli esseri umani e non vadano quindi moralmente approvati.

Ovviamente non manca un po' di demagogia nel tentare di sostenere che la tutela delle minoranze dalla violenza di gruppi d'odio sia un errore:

Alla base degli assunti come quelli della convenzione di Yogyakarta c’è una pregiudiziale: sono gli Stati o le Nazioni Unite o altri enti sovranazionali a decidere quali sono (e quali non sono) i diritti umani, i diritti fondamentali dell’uomo. La qualcosa è estremamente pericolosa: ad esempio Charles Malik, uno dei redattori della Dichiarazione, ha avvertito che, quando lo Stato ha il potere ultimo di creare diritti, ha anche il potere di revocarli. Solo quando i diritti umani si fondano su qualcosa di trascendente, di superiore al potere dello Stato, possono resistere alla prova del tempo e al cambiamento dei vari regimi politici. Sono allora sì, davvero, diritti universali dell’uomo: universali e immutabili, nel V secolo a.C. come oggi.

Stando alla teoria esposta, dunque, la legge non conta e conta solo la convinzione personale. Se davvero dovessimo credere a tale teoria, allora chiunque avrebbe il diritto di compiere qualunque crimine nel nome di Dio (esattamente come avveniva con la caccia alla streghe o con le crociate).
Ed è così che si chiede di legittimare la violenza e la discriminazione nel nome di Dio, nonostante Dio non abbia mai dato espressione di un volere. Ma dato che l'associazione ProVita basa la sua campagna politica su un presunto sentimento cristiano, ecco che è Brandi ad arrogarsi il diritto di dire ai suoi lettori che Dio vuole esattamente ciò che vuole lui:

Una conclusione del genere è facilmente condivisa dalla cultura religiosa che crede in un Dio, principio e fondatore dell’universo, misura del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto universale. Ma anche chi rifiutasse a priori l’idea di Dio, può accettare (e le menti più illuminate lo fanno) l’idea che determinati principi sono scritti nella Natura dell’essere umano. Sono leggi naturali, appunto, che regolano i diritti naturali (la vita, la libertà, la proprietà), alle quali, in coscienza, ogni persona sa di dover ubbidire.
Se alle politiche LGBT si dà la priorità rispetto a questa libertà di coscienza, non avremo più diritti universali e inalienabili che non derivino dal potere di coloro che sono al governo nello Stato.

Insomma, la tesi di Brandi è che la Sharia cattolica deve valere più della legge e che l'Isis faccia benissimo a lanciar ei gay dal tetto dato che la legge che vieta l'omicidio non deve valere se si inneggia a fantomatiche motivazioni che giustifichino l'esecuzione capitale.
E se il discorso non fosse volto a sostenere il pensiero unico dell'integralismo cattolico, ci sarebbe proprio da domandarsi come questa gente possa rivendicare i loro diritti mentre la maggior parte della popolazione non avrebbe problemi a sostenere che la loro ideologia sia contro natura. Se basta il solo giudizio per poter delinquere contro chi si odia, perché non dovrebbe essere lecita un'aggressione nei loro confronti? ma forse la domanda è pura retorica, dato che è evidente che neppure loro possano davvero credere a ciò che scrivono (motivo per cui non è consigliabile verificare l'ipotesi, dato che probabilmente la loro reazione sarebbe violenta e non certo in linea con le tesi sostenute quando di tratta di attaccare i gay).
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