Avvenire prima chiede distinguo e poi li attacca: la mancata equiparazione porterà i gay ad essere avvantaggiati nell'omicidio del coniuge


La legge sulle unioni civili violerebbe la Costituzione, il codice civile, il codice penale, la giurisprudenza tutta, le procedure del Senato e della Camera. Lo sostiene il quotidiano dei vescovi, asserendo che quel loro elenco si limiterebbe solo alle «evidenze più macroscopiche».
Che i vescovi non volessero garantire pari dignità alle persone gay e lesbiche (da decenni al centro di una loro incessante propaganda diffamatoria) non è certo una novità, ma imbarazzante è l'intervento politico con sui Avvenire spera di poter aizzare i fanatici religiosi contro i diritti dell minoranze. Ormai non si limitano più a sostenere che sia Dio ad odiare i gay, ora dicono anche che sia la legge dello stato ad imporre una loro discriminazione.
L'articolo di Luciano Moia si lancia così nell'indicare tutto ciò che i vescovi sostengono non vada nella legge. Si parte con i benefici economici che loro vorrebbero fossero riservati ai soli eterosessuali, ben sapendo come il mondo cattolico sia ben disposto ad apprezzare chiunque gli offra vantaggi a danno del prossimo:

L’articolo 29 della Costituzione prevede che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». L’articolo 31 impone misure economiche e altre agevolazioni. Gli articoli 30, 34, 36, 37 vanno nella stessa direzione. Per questo l’ordinamento giuridico italiano è segnato da un 'favor familiae' non solo chiarissimo ma invalicabile. Ora una legge che assimila alla famiglia quello di una formazione sociale diversa, va in direzione opposta a quanto afferma la Costituzione e a quanto la stessa Corte Costituzionale ha chiarito nella sentenza 138 del 2010.

Si passa poi a sostenere che l'equiparazione delle famiglie omosessuali a quelle eterosessuali creerà problemi legislativi dato che si applicherà anche a formazioni sociali sino ad oggi esclude da ogni diritto e dovere:

Il comma 20 è quello che dà senso all’intera norma: «Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti la parola 'coniuge', 'coniugi' o termini equivalenti… si applicano anche ad ognuna delle parti delle unioni civili tra persone dello stesso sesso». Unica eccezione le norme in materia d’adozione. In realtà si tratta di un’eccezione solo formale, ma ne parliamo tra poco. Qui è importante far notare che questa generica assimilazione tra 'civiluniti' (il neologismo si deve al documento 'Legge Cirinnà iniqua e incostituzionale' preparato dal Centro Studi Livatino e dal Comitato Difendiamo i nostri figli) e coniugi apre la strada a tutta una serie di problemi di ordine penale e amministrativo che non sarà semplice appianare.

Citato Adinolfi come massimo esperto in diritto di famiglia (in fondo sa bene come sposarsi, dato che di famiglie ne ha due ed ha anche sperimentato la trascrizione id nozze celebrate in un casinò), si passa a sostenere che la separazione delle unioni civili in fatto di diritto di famiglia (così come la CEI ha preteso fosse) permetterebbe dei "vantaggi". Dicono che forse i gay non avranno l'obbligo all'assistenza famigliare, che non potrebbero essere colpiti dalle aggravanti in caso di omicidio del coniuge o che potranno tranquillamente essere bigami. E dato che il giornale dei vescovi pare intenzionato a non farsi mancare nulla, si lancia pure nel sostenere che la nota in cui si afferma che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti» sarebbe da intendersi come un «generico riferimento che apre la strada all’adozione non legittimante da parte dei membri dell’unione civile».

L'elenco di Avvenire passa poi a sostenere che i bambini delle famiglie omogenitoriali debbano essere resi orfani di uno dei loro genitori per non «violare le norme internazionali». Esatto, quelle stesse norme siglate dai Paesi in cui vige il matrimonio egualitario. Ma da buon azzeccagarbugli, i vescovi sostengono che «l’interesse preminente del minore viola la Convenzione di New York sui diritti dei minori che all’articolo 21, in caso di adozione, prescrive una verifica della situazione del minore "in rapporto al padre e alla madre"».
Non poteva mancare il solito ritornello sul fatto che bisogna negare ai diritti ai bambini per mettere i loro genitori nelle condizioni di non farli nascere, in quell'ottica in cui si cavalca il più bieco populismo nell'asserire che «nella stessa logica, se si capovolge il senso della legge sull’adozione, come fa il comma 20, e si lascia intendere che l’obiettivo non è quello di dare una famiglia a un minore che ne è privo ma di costruire un diritto dell’adulto ad avere un figlio, la legge apre la strada anche alla maternità surrogata. In ogni caso le maglie per le sentenze creative, come già sottolineato, si allargano ancora di più».

Più violenta è la posizione in cui si sostiene che alcuni bambini non dovrebbero veder riconosciuti i propri diritti perché si ha paura che le nuove generazioni possano nascere prive della piaga dell'omofobia e dell'odio cieco verso le minoranze:

Il combinato disposto del comma 20 e dell’articolo 46 della legge 184, qualora il genitore biologico non esercitasse la responsabilità genitoriale, potrebbe addirittura configurare la possibilità che un minore finisca per trovarsi con un secondo padre o una seconda madre – partner omosessuale dell’altro genitore – in aggiunta ai due genitori biologici. Confusione giuridica che diventa obbrobrio educativo.
Il comma 36 stabilisce che i conviventi di fatto, uniti da stabili rapporti affettivi di coppia, possono considerarsi tali se non uniti in matrimonio e non vincolati da rapporti di parentela o di affinità. Ma non specifica fino a che grado di parentela o di affinità sia vigente il divieto.

Si arriva così al dunque, asserendo che sia necessario permettere ai sindaci di potersi rifiutarsi di rispettare la legge sulla base dei loro pregiudizi. Ovviamente un sindaco dovrebbe potersi opporre a registrar eun'unione civile, ma non quella tra due cristiani in quell'ottica in cui la discriminazione è spacciata come "Libertà" solo quando colpisce gli altri e mai quando tocca i propri interessi. Il tutto, ovviamente, al solo fine di impedire che gay e lesbiche possano ottenere pari dignità sociale senza venir additati come cittadini di sere b la cui stessa vita deve poter essere oggetti di dissenso:

E se un sindaco non volesse, per motivi etici, celebrare nel proprio Comune le unioni civili? Potrebbe essere accusato di omissioni di atti d’ufficio e sarebbe perseguito penalmente o addirittura sostituito da un commissario ad acta. Questo perché la nuova legge non precede obiezione di coscienza. E questa carenza, come fa notare il documento del Centro Studi Livatino e del Comitato Difendiamo i nostri figli, «provocherà problemi seri».

Il bello di questo discorso è che la soluzione sarebbe semplice: se non vogliono differenze, basterebbe introdurre il matrimonio egualitario e tutti saremmo finalmente uguali. Eppure sono proprio quegli stessi vescovi che oggi starnazzano come galline spaventate ad aver impedito tale parità e ad aver preteso tutte le peggiore normative che hanno creato questi distinguo.
A proposito, ma sono davvero certi che i gay ambiscano a non avere aggravanti se il loro compagno dovesse ucciderli o se dovesse abbandonarli nel momento del bisogno per l'assenza di un obbligo all'assistenza? eppure, bello spirito molto cristiano dei vescovi, queste violenze sono proposte come un vantaggio...
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