D'Angelo intervistato da Il Giornale, che titola: «Ho scritto froci in difesa dei gay»


Le certezze nella vita sono poche, ma una di queste è che Il Giornale si schiererà sempre dalla parte di chiunque offenda e discrimini gay. Ed è così che il quotidiano della famiglia Berlusoni si è lanciata nel difendere il "direttore" del quotidiano Le Cronache del salernitano che aveva titolato a tutta pagina "Froci e pervertiti violentano 17enne".
Attraverso il solito uso politico dell'omofobia, Il Giornale ha dato voce a Tommaso D'Angelo per fargli spigare quanto fosse bello usare il termine «frocio». Un termine che peraltro era piaciuto tanto anche ai loro lettori, al punto da registrare decine e decine di commenti che facevano a gara per trovare insulti ancora peggiori. E in fondo c'è poco da fare, se un giornale usa un termine dispregiativo simile, l'intento non può che essere quello di offendere una persona in virtù dell'orientamento sessuale e non in virtù di ciò che ha fatto. Eppure, nello stile che caratterizza le destre più esimere, è il negazionismo a farla da padrone.
D'Acquinodice che «io non ho nulla di cui pentirmi. E quel titolo lo rifarei. Parola per parola». Si lancia nel sostenere che «i trent'anni della mia storia professionale dimostrano che io sono sempre stato dalla parte dei gay», anche se dinnanzi ad un quotidiano che fomenta false isterie sostenendo che esitano «spettacoli gender» pare lecito avere l'impressione diametralmente opposta.
Si passa così ad un uso ancor più politico dell'omofobia, attraverso il sostenere che lui abbia usato il termine «froci» solo «perché volevo dare una connotazione totalmente negativa a persone che hanno commesso un crimine orrendo. Se avessi usato il termine gay -politicamente corretto- avrei accontentato gente come la Boldrini, ma avrei indistintamente infangato l'intera categoria degli omosessuali». Insomma, la solita manfrina che serve solo a lanciare insulti gratuiti alla Boldini, ignorando il vero tema: perché mai avrebbe dovuto sottolineare nel titolo un orientamento sessuale che non viene sottolineato dinnanzi a tutti i crimini commessi da eterosessuali?
Interessante è infatti osservare come la difesa del "giornalista" si basi nel sostenere che dovesse scegliere fra il termine «gay» o «froci», anche se forse sarebbe bastato parlare di ragazzi che hanno violentato un ragazzo per puntare l'attenzione sul fatto in sé e non su un orientamento sessuale del tutto ininfluente (ma non nel suo titolo).
So un piano inclinato dove il discorso pare peggiorare di battuta in battuta, Tommaso D'Angelo si lancia nel sostenere che la gente abbia criticato il suo titolo solo a causa di un «effetto-gregge» perché «uno comincia a dare un'interpretazione strumentale. E tutti gli vanno dietro come pecore».
Sempre in tono politico, D'Angelo dice che non conosce Selvaggia Lucarellie e si lancia nel sostenere che «L'Espresso farebbe bene a occuparsi dei morti di amianto per i quali è stato condannato il suo editore, l'ingegner De Benedetti» dato che lui è più bravo di loro a fere le inchieste. Sarà, ma sta di fatto che nessuno conosceva il suo "giornale" sino a quando non ha scioccato il pubblico con un titolo di rara violenza.
Non pago di quanto già dichiarato, D'Angelo aggiunge poi che chiunque lo critichi debba essere inteso come amico dei violentatori perché «preferiscono prendersela contro il mio titolo, piuttosto che condannare gli stupratori. Per i quali il carcere non basta...». La sua richiesta è di «castrazione chimica», forse la stessa che andrebbe inflitta anche a chi scrive certi titoli...
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