Per La Stampa, difendere gli adolescenti gay dalle aggressioni integraliste è "hate speech"


L'integralismo cattolico non tollera opposizioni al pensiero unico e la minaccia di azioni legali è lo spauracchio con cui sperano di intimorire chiunque osi contraddire i loro distinguo e la loro ideologia del disprezzo. Nel tempo hanno denunciato chiunque proponesse una sana educazione al rispetto ai ragazzi, chiunque manifestasse a sostegno della parità di diritti ed anche chiunque osasse denunciare la pericolosità di una certa propaganda. È la strategia del terrore, volta a chiudere la bocca ad ogni dissenso attraverso l'intimidazione e la minaccia di azioni legali (che peraltro non pare abbiano mai avuto esito positivo, nonostante l'evidenza che ci porta a pensare che siano i tempi e i costi della giustizia italiana a dover spaventare chiunque ne sia vittima).

Recentemente è Mario Adinolfi ad essersi nuovamente scagliato contro Gayburg, sostenendo che in un articolo fosse contenuta una «minaccia di morte esplicita». Nel consueto sistema di diffamazione tanto caro al leader integralista, Adinolfi si procura di estrapolare alcune frasi per decontestualizzare e di aggiungere curiose interpretazioni riguardo al significato delle parole. Ma anche a mettersi lì con buona volontà, non appare chiaro in che modo intenda sostenere che il dire che «Mario Adinolfi è del del 1971 e c’è il rischio che possa insultarci per altri quarant’anni» possa essere considerata una minaccia di morte.
Non solo, la frase successiva (ovviamente omessa nella sua versione) spiegava chiaramente che «la natura non ci libererà facilmente da questa gente e sarebbe inutile sperare che la loro fine possa finalmente concedere alle loro vittime la possibilità di poter vivere in santa pace la loro vita». Ipotizzare che Adinolfi possa restare sulla scena fino agli 85 anni e il parlare esplicitamente di cause naturali del suo decesso non appare certo motivo per simili accuse. Ancor più è grave il cercare una decontestualizzazione che faccia apparire forte il parla di morte dopo aver omesso la lunga introduzione che spiegava il perché se ne stesse parlando (peraltro il tema era quello di suicidi, non certo di omicidi).

Fatto sta che Adinofli si è lanciato nel sostenere che:

Dunque “qual è la soluzione” secondo i caproni sgrammaticati (togliete l’apostrofo, ignoranti) del sitarello omosessualista? Ma certo, la “morte”. Da tempo segnaliamo il livello di incredibile violenza raggiunto dal mondo Lgbt contro chi dissente, ma questa esplicita minaccia e indicazione di obiettivi da eliminare riteniamo debba essere presa in carico dalla magistratura e un sito così vergognosamente violento immediatamente chiuso.

Considerato che l'articolo parlava di come l'assenza di possibilità di uscita da una determinata soluzione rischiasse di spingere alcuni gay a decidere di suicidarsi, incomprensibile è in quale modo Adinolfi possa essersi sentito legittimato a scrivere accuse così false ed infondate.
Evidentemente la macchina del fango è stata avviata contro chi ha osato accendere i riflettori sulle apparizioni al centro islamico di Milano del segretario del suo partito, o chi non ha mai omesso di notare l'assurdità di un divorziato che si dice pronto a battersi per vietare il divorzio. o forse Adinolfi non appare gradire che gli si ricordi come la sua azione sia percepita come una persecuzione da quelle vittime che gli permettono di fare soldi attraverso il commercio dell'omofobia.

La posizione espressa da Adinolfi risultava talmente ridicola da non meritare attenzione né pubblicità, ancor più ricordando come quella sia la sua prassi. Già in passato si inventò già altre false accuse in cui diceva che Gayburg volesse uccidere le sue figlie (peraltro finendo con il lanciare un'offensiva dell'integralismo che portò a riceve una lunga serie di minacce di morte).
Ma grave è come questa volta le sue esternazioni abbiano trovato una cassa di risonanza sulle pagine de La Stampa di Torino. È il vaticanista Marco Tosatti a scrivere:

Il sito è Gayburg, un sito omosessualista, e i bersagli sono due noti laici cattolici, Mario Adinolfi, la bestia nera degli omosessualisti militanti, e Toni Brandi. Mario Adinolfi, per chi non lo conoscesse, è un dirigente del Popolo della Famiglia, e Toni Brandi è il dirigente di una onlus Pro Vita. Entrambi si battono per la difesa del matrimonio come riconosciuto dalla Costituzione, fra un uomo e una donna, e contro l’utero in affitto e l’adozione alle coppie gay. Posizioni discutibili, forse, ma legittime. Almeno per ora.

In questa sede sorvoleremo su come la Costituzione non includa alcun riferimento ai sessi dei coniugi e su come la Consulta abbia chiaramente chiarico che la Carta fondamentale non è in alcun modo un ostacolo al riconoscimento del matrimonio egualitario. E forse non potrebbe essere altrimenti, dato che si scelsero volutamente dei termini pregiuridici che eliminassero tutti quei distinguo sulla famiglia voluti dai fascisti (ed oggi reintrodotti da chi sostiene che l'orientamento sessuale sia una discriminante nel riconoscimento dello status giuridico delle famiglie altrui). Ad interessarci è piuttosto come un organo di stampa nazionale possa falsificare la realtà dei fatti a fini propagandistici.
Se nell'introduzione dell'articolo si faceva una lunga lista dei termini che rappresentano un'aggressione alla dignità di gay e lesbiche, Tosatti modifica il soggetto della frase attribuendola a chi è contrario al riconoscimento di qualunque famiglia non si basi sull'eterosessualità dei coniugi.

Gayburg li ritiene però responsabili di una “continua aggressione” verso gli omosessuali, in un articolo che si intitola: “Il bullismo cattolico che miete vittime”. Il che ci sembra già una forzatura non piccola; la Chiesa ospita nei suoi ranghi una quantità di omosessuali anche ad altissimi vertiginosi livelli; ha subito danni ingenti, specie in America, da suoi membri che appartenevano alla categoria; e quello che si legge e si sente provenire dal mondo cattolico non sembra ispirare preti suore e fedeli ad aggressioni. Tutt’altro. Ma ciascuno è padrone di cantare e suonare sopra le righe, se vuole.

In quel clima persecutorio di cui si accennava, ecco che Tosatti pare lanciarsi nell'ipotizzare fra le righe che la pedofilia sia colpa dei gay. Ma non solo. Nega persino l'esistenza di quelle persecuzioni contro gay e lesbiche, spingendosi sino a contraddire quello stesso Papa che ha ammesso la necessità di chiedere scusa alle persone lgbt per le violenze subite nel nome di Dio.
L'articolo passa poi a proporre frasi decontestualizzate volte a rilanciare le teorie vittimistiche di Adinolfi quali verità rivelata. Rispetto alle accuse iniziali, Tosatti si permette anche di aggiungere che la difesa dei bambini gay dall'aggressione dell'integralismo cattolico sarebbe da intendersi come un qualcosa che possa armare il terrorismo:

Adinolfi parla di un’esplicita minaccia. Di sicuro, giocare con certi termini e con certe idee, è una grossa responsabilità. Vediamo quotidianamente che cosa sono capaci di fare i depressi o gli esaltati di turno, convinti anch’essi di agire per una giusta causa: a Nizza, a Monaco, a Rouen e così via.
A un vecchio cronista tutto questo ricorda in maniera drammatica l’inizio degli anni’70, quando la tragedia cominciava dall’uso di certe parole, e dall’esaltazione dei torti subiti, e continuava con l’indicazione dei bersagli. Pessimi ricordi. Non so se ci sarà qualche denuncia, ma come esempio di “hate speech” non è male.

Esatto, Tosatti dice che non c'è nulla di male ad organizzare convegni per dire a dei genitori impauriti che i gay sono «una minaccia» per i loro figlie per la loro famiglia. La sua tesi è che l'hate speech sia il chiedere agli integralisti cattolici di permette agli altri di poter vivere in santa pace la loro vita.
Appare inutile notare come sia stato il vaticanista a suggerire azioni violente di stampo terroristico, in quel ciclo vizioso in cui si accusa qualcuno di parole che sono gli sono state attribuite in maniera violenta e forzata (e forse anche in malafede). Peccato che l'unico reale rischio è che un'azione violenta possa essere commessa da quelle persone che giorno dopo giorno si sentono dire che la loro vita è in pericolo qualora non si oppongano al diritto all'esistenza dei gay.

Ma è sempre proponendo l'interpretazione fantasiosa di Adinolfi quale un dogma di fede, Tosatti aggiunge:

E infatti Adinolfi continua: “Da tempo segnaliamo il livello di incredibile violenza raggiunto dal mondo Lgbt contro chi dissente, ma questa esplicita minaccia e indicazione di obiettivi da eliminare riteniamo debba essere presa in carico dalla magistratura e un sito così vergognosamente violento immediatamente chiuso”. E, soprattutto, stiamo attenti noi giornalisti a non sottovalutare certi segnali, in omaggio al pensiero dominante e all'aria trendy -anche in negativo- che porta a scomuniche e ostracismi modaioli.

Inutile a dirsi, da parte de La Stampa non è giunta alcuna richiesta di commenti che potessero permettere di proporre un pensiero diverso da quello di Adinolfi. Tosatti fa suonare un'unica campana, anche a rischio della sua stessa credibilità pur di favorire l'integralismo e la sua azione violenta a danno di quei gay che a lui paiono non piacere.

Abbiamo provveduto a contattare il direttore del quotidiano torinese per chiedere spiegazioni riguardo a questo attacco violento e diffamatorio. Ovviamente provvederemo ad aggiornarvi qualora vi siano novità riguardo a quella vergognosa pagina di disinformazione idologica.
Di certo appare folle il dover leggere simili strumentalizzazioni a fronte di una articolo interamente concentrato nello spiegare un sentimento di sconforto che scaturisce dinnanzi a costanti aggressioni quotidiane. Ed è la realtà dei fatti a raccontarci che è Leelah Alcorn ad aver perso la vita, non certo i suoi genitori che l'anno spinta ad un gesto estremo nel condannarla a persecuzioni psicologiche argomentate da presunte motivazioni religiose (le stesse "terapie riparative" che oggi sono promosse sia da Adinolfi che da Brandi). Ma questo non si deve poter dire, così come un gay non deve assolutamente poter raccontare la propria sensazione dinnanzi agli insulti gratuiti che subisce quotidianamente.
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