La NuovaBQ loda le intimidazioni che hanno portato all'annullamento del Pride ugandese


È dalle pagine de La Nuova Bussola Quotidiana che Anna Bono pare strapparsi i capelli perché vive in Italia e non in quell'Uganda che aveva promesso di condannare a morte gay e lebiche. La donna risulta l'autrice di un articolo intitolato "Vietato il Gay pride. Ma succede in Uganda" nel quale afferma:

Quando nel 2014 ha adottato una legge che inaspriva le pene nei confronti degli omosessuali, l’Uganda ha subito severe sanzioni. Gli Stati Uniti e diversi Stati europei hanno subito congelato parte dei loro aiuti finanziari al Paese. La Banca Mondiale, tra l’altro, ha sospeso un prestito di 90 milioni di dollari destinato al servizio sanitario.
Tuttavia il governo ugandese ha resistito denunciando l’«imperialismo sociale» dell’Occidente e affermando il proprio dovere di rappresentare la volontà e i sentimenti della popolazione. Qualche mese prima una ricerca svolta dal Pew Reaseach Center aveva rivelato che il 96% degli ugandesi considerano l’omosessualità inaccettabile. Come unica concessione, nel 2015 l’Uganda ha eliminato il divieto di promozione della omosessualità» e la condanna all’ergastolo per il reato di «omosessualità aggravata». In effetti, però, la legge non deve essere così temibile o forse c’è un certo margine di tolleranza sia da parte delle forze dell’ordine che della popolazione.

Criticati chi si batte per i diritti civili e giustificata l'azione violenta di chi vuole mettere in carcere qualcuno per l'unica "colpa" di amare qualcun altro, si arriva a raccontare con soddisfazione come l'Uganda abbia costretto gli attivisti lgbt ad annullare il Pride attraverso irruzioni ed azioni violente che li avevano spaventati sino a costringerli ad annullare l'evento:

Sta di fatto che ormai da cinque anni la comunità Lgbt ugandese celebra non un Gay pride day, ma una Gay Pride Week, un’intera settimana di eventi e manifestazioni che si conclude con una sfilata. Ma non quest’anno. Il 4 agosto, due giorni dopo l’inizio della Gay Pride Week 2016, la polizia ha fatto irruzione in un club ordinandone la chiusura e fermando i presenti con l’accusa di partecipazione a raduno illegale perché nel locale si stavano celebrando dei matrimoni tra omosessuali che la legge vieta. Il giorno successivo il ministro dell’Etica e dell’Integrità, Simon Lokodo, ha poi proibito ogni altro evento gay in programma nel resto della settimana e ha cancellato la sfilata conclusiva che per la prima volta si sarebbe svolta nella capitale Kampala e alla quale si calcolava avrebbero partecipato circa 300 persone provenienti anche da Stati vicini.

Gravissimo è come sottolineino con soddisfazione come tutta quella violenza sia di matrice cristiana, spiegando che «il ministro Lokodo è un sacerdote cattolico scomunicato nel 2006 quando ha deciso di intraprendere la carriera politica».
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