La Cassazione sanscisce che dare dell'«omosessuale» a qualcuno non è un'offesa


Apostrofare qualcuno con il termine «omosessuale» non può essere considerato reato. Lo ha sancito una sentenza della Corte Di Cassazione, secondo la quale il termine non ha più alcuna connotazione negativa. I giudici hanno così annullato una condanna per diffamazione che nel marzo del 2015 era stata inflitta da un giudice di pace di Trieste ad un uomo che aveva insultato un altro uomo chiamandolo «omosessuale» dinnanzi a sua moglie.
Nella sentenza n. 50659/16, i giudici scrivono che «a differenza di altri appellativi che veicolano il medesimo concetto con chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente, il termine in questione assume un carattere di per sé neutro, limitandosi ad attribuire una qualità personale al soggetto evocato ed è in tal senso entrato nell'uso comune». Viene anche sostenuto che «la tipicità della condotta di diffamazione consiste nell'offesa alla reputazione: è dunque necessario che i termini dispiegati o il concetto veicolato, nel caso di comunicazione scritta o orale, siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto».
Ne è così conseguito che, nonostante quel termine fosse stato usato con intento denigratorio, il reato non possa sussistere in virtù di come «non può ritenersi effettivamente offensivo».
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