Monica Guerritore è Judy Garland. la prima diva ad opporsi alle leggi maccartiste contro i gay


Sono circa tre anni che una grande interprete del teatro italiano, Monica Guerritore, porta in scena il mito di Judy Garland, nell’edizione italiana dello spettacolo End Of The Rainbow, con la regia di Juan Diego Puerta Lopez. Lo spettacolo, che è un cult della scena internazionale, racconta alcuni giorni della diva a Londra, pochi mesi prima di morire, insieme al compagno produttore Mickey Deans (che diventerà il suo quinto marito) e all’inseparabile amico gay, il pianista Anthony Chapman. Uno spettacolo che racconta la delicatezza e la fragilità di una stella di Hollywood che fu amata tantissimo dalla comunità gay.
Ecco l’intervista rilasciata da Monica Guerritore ai microfoni di
L’alta frequenza – lgbt on Air su Radio Amore Napoli (la trasmissione va in onda tutti i lunedì dalle 21 alle 23, 90.80fm in Campania o www.radioamorenapoli.it).

Cosa significa per una grande attrice come te avvicinare, sulla scena, un mito come Judy Garland?
Interpretare Judy Garland ti dà il senso di quanto la pienezza di un personaggio reale, veramente esistito, come Judy Garland, possa intrattenere, commuovere, emozionare, divertire e far piangere il pubblico. Ormai è il terzo anno che lo portiamo in scena in Italia ma è uno spettacolo che sta avendo successo in tutto il mondo ed è importante che il Teatro Sistina di Roma abbia deciso, quest’anno, di inaugurare la stagione teatrale con questo spettacolo perché la vita così generosa di sé, che la Garland ha vissuto, da Il Mago di Oz a È nata una Stella racconta la complessità della sua anima, tra la bellezza dello Star System e la tristezza che l’ha accompagnata per tutta la vita.

Nello spettacolo che porti in scena, emerge l’aspetto di estrema fragilità della Garland, la conflittualità tra quello che voleva essere e quello che realmente era…
C’è un’evidente distonia tra la pienezza della vita in palcoscenico e quello che realmente provava e sentiva Judy Garland nella quotidianità. Proprio per questo, io capisco perfettamente l’importanza che ha il momento della scena del trucco all’interno dello spettacolo, scena in cui la Garland è con il suo amico pianista e confidente, Anthony Chapman. Mettersi le ciglia finte, indossare la parrucca, colorarsi le gote, le labbra, infilarsi il vestito le davano quella grandissima forza che lei sul palcoscenico aveva. E poi la Garland, pur di andare in palcoscenico, si riempiva di pillole che sono quelle che poi l’hanno fatta morire. Ma perché? Perché la sua vita è quella. Non credo che lei, nella sua vita reale, avrebbe potuto avere un amore o una pienezza così grande come quella che riceveva in palcoscenico.

Per l’edizione italiana di questo spettacolo avete, poi, scelto un finale che dà i brividi…
E’ vero e piace moltissimo al pubblico. Questo perché noi stiamo raccontando Judy, ci avviciniamo a Judy e io divento Judy, ma nel finale Judy entra in scena con noi, con tutto il suo desiderio disperato di felicità. Ed è quel desiderio che cantava in Over the Rainbow: al di là dell’arcobaleno, il sogno di trovare la felicità, di trovare l’immensità.

Leggenda vuole che i moti di Stonewall siano scoppiati anche perché gli animi della comunità gay di New York erano esasperati dalla morte della Garland. In effetti, allo Stonewall Inn, la sera in cui scoppiò la rivolta, c’erano tanti gay che erano arrivati da ogni dove per piangere la fine del primo grande mito gay della modernità…
Judy Garland è stata la prima artista ad opporsi alle leggi maccartiste contro i gay e i comunisti e volle imporre un pianista dichiaratamente omosessuale sul palco insieme a lei. Per questo era adorata, per la sua apertura, per la sua generosità nei confronti dell’altro e perché anche lei si sentiva “altro”. Anche lei era fuori dallo Star System e dal meccanismo di Hollywood e quindi si sentiva un’estranea. Ecco perché voleva Anthony con sé, perché desiderava che nessuno si sentisse un estraneo con Judy Garland.

Quello che nessuno debba sentirsi estraneo è un messaggio importantissimo, soprattutto in tempi come questi in cui abbiamo tanti “estranei” che dovremmo far sentire a casa, in qualsiasi parte della terra…
Noi siamo a casa, questo è il nostro mondo. L’altro essere umano deve essere casa tua. Lo diceva anche Battisti, le anime non hanno sesso, noi siamo tutti uguali.

Claudio Finelli
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