Avvenire invita alla discriminazione: «I medici abbiano un approccio eteronormativo»


Se la Conferenza Episcopale Italiana è da tempo in prima fila nella promozione dell'intolleranza e del pregiudizio, appare preoccupante osservare come il loro organo di stampa ufficiale si sia ormai divenuto un giornaletto propagandistico paragonabile a Provita o alla Nuova Bussola Quotidiana. La sola idea che Avvenire posa andare in giro a parlare di fantomatiche «lobby gay» o di «cultura gender» è un fatto grave se non gravissimo.
Come sempre, l'attacco viene lanciato da Luciano Moia, capace di intitolare il suo articolo propagandistico con un ideologico "Cultura gender. Figli con madre e padre? Pregiudizio omofobo". E se ovviamente il tema non è quello riassunto in parole tanto propagandistiche quanto decontestualizzate, pare plausibile pensare che lui voglia far passare un messaggio alterato che possa spingere delle vecchiette sprovvedute a credere che Hitler non avesse poi torto a sostenere che esistono razze inferiori e che lui sia parte diq uella che ama presentare come una nuova razza ariana basata sull'esaltazione dell'attrazione sessuale verso un paio di tette.

Il tema è semplice quanto banale: il Comune e l'Asl di Ferrara hanno presentato un vademecum per gli operatori della salute in cui li invita a superare i pregiudizi di genere. Un gesto di puro buonsenso, verrebbe da pensare, ma ovviamente tutto ciò appare inaccettabile per un uomo che ha fatto della promozione della discriminazione il senso della sua vita. Estrapolando frasi decontestualizzate come se non ci fosse un domani,l'uomo scrive:

Ecco uno più frequenti pregiudizi omofobi: “I figli devono avere una mamma e un papà”. Davvero gravissimo. E’ noto che i bambini nascono in provetta dopo averli scelti su un catalogo, oppure da un utero in affitto a caro prezzo. Mamma e papà appartengono all’archeologia procreativa.
Vogliamo sparare un altro pregiudizio? E dei peggiori?: “Una coppia omosessuale che desidera un figlio non ha fatto i conti con i limiti che la sua condizione gli impone”. Quasi imperdonabile. Guai porre limiti al desideri. Anzi, urgente trasformare i desideri in diritti, in leggi quadro che possano azzerare quel piccolo, trascurabile ostacolo rappresentato dai limiti posti dalla natura. Un’altra terribile credenza omofoba? “La cosiddetta “famiglia tradizionale” è lungi dall’essere l’unica possibile, poiché il dispositivo familiare è stato oggetto di mutazione e ridefinizioni continue nel tempo”. Naturalmente, quando si parla di “famiglia tradizionale” meglio usare le virgolette, trattandosi di tipologia sociale in via d’estinzione e comunque non preferenziale rispetto ad altre e più fantasiose combinazioni. Peccato che tutte le variazioni sul tema - famiglie disgregate, ricomposte, allargate, unigenitoriali ecc… – nascano come evoluzione, e spesso come involuzione, di quel modello originale. Lo vogliamo destinare al museo della sociologia familiare? Benissimo, qualcuno ci indicherà modelli più efficaci. Che, al momento però non esistono.

In realtà Moia appare così poco convinto delle sue rivendicazioni da arrivare ad alterarle pure di sentirsi legittimato ad attaccarle. Persino La Nuova Bussola Quotidiana non arriva a tacere che quelle estrapolazioni arrivino dall'elenco “dei pregiudizi e credenze omofobiche più frequenti che i professionisti dovrebbero evitare quando hanno in cura un minore con genitori omosessuali”. Ed è quel dettaglio a dirci che Moia stia candidamente affermando che un medico debba poter andare da un bambino a dirgli che i suoi genitori fanno schifo, che lui non sarebbe mai dovuto nascere e che Dio lo bruciarà all'inferno.

Si passa poi a sostenere che lui, dall'alto del suo pregiudizio, sa per certo che tutti i medici del mondo siano in errore e che il suo disprezzo verso i gay sia un'argomentazione più che valida per spergiurare che i gay siano cattivi genitori (non certo come quei bravi eterosessuali che picchiano, stuprano o danno fuoco ai propri figli). Con toni sempre più isterici, scrive:

Un’altra perla colta dall’elenco dei pregiudizi omofobi? “Dal confronto tra genitori omo ed eterosessuali non sono emerse differenze per quanto concerne le capacità genitoriali, il concetto di sé e il benessere psicologico”. Ma chi l’ha detto? Forse le tante ricerche di area nordamericana commissionate dalle associazioni gay, condotte su militanti e attiviste delle medesime lobby? E tutte le altre ricerche, forse meno numerose ma altrettanto autorevoli che dicono esattamente il contrario? Insomma, nel migliore dei casi il giudizio va sospeso dal punto di vista delle indagini scientifiche. Sul piano della comune esperienza e nel normale buon senso invece il confronto non si pone neppure.

Ed è sostenendo che un medico debba creare disturbi ai minori dicendogli che non accetta possa avere genitori gay, aggiunge:

Benissimo. Quello che non si capisce è perché l’intento di superare i “pregiudizi di genere” debba poi mescolarsi con la promozione di una cultura gender secondo cui parlare di madre e di padre diventa discriminazione omofoba? La maggior parte elle riflessioni e delle indicazioni che si leggono nel volumetto – ha avuto il via libera anche dell’Unar che ha accreditato il corso formativo nell’ambito del quale il documento è stato presentato – sono ispirate al rispetto, alla dignità della persona, al diritto di avere trattamenti sanitari inclusivi dal punto di vista dell’orientamento sessuale. Difficile non essere d’accordo. Quando però dalla legittima difesa dei diritti delle persone omosessuali si passa alla pretesa, anche solo implicita, di mettere all’angolo quella che viene definita “eternormatività” qualcosa non funziona più. Vuol dire che il passo dalla realtà all’ideologia è stato fatto.

Ecco che si arriva al punto: Avvenire dice che il mondo deve essere eteronormativo, ossia deve ritenere che lsolo 'eterosessualità debba essere ritenuta l'unica norma accettabile. Ed è starnazzando come unna pazza che Moia aggiunge:

Prendersela perché la cultura professionale della sanità in Italia “è caratterizzata da un approccio permeato di eteronormatività”, così si legge nel documento, è un sapore quasi paradossale. E da cosa dovrebbe essere permeato? Di “omonormativita”? Come ha poco senso raccomandare ai medici di rivolgersi alle persone di cui non si conosce l’orientamento sessuale “senza fare riferimenti a mariti e mogli”. E perché mai? Non sono parole sconvenienti. E la condizione della maggior parte delle persone adulte è proprio questa: avere una moglie-donna e un marito-uomo. Se combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, vuol dire rovesciare i piani e confondere realtà con propaganda, non si difende alcun diritto. Si nega solo l’evidenza.

E se il contrario di eteronormatività non è "omonormativita" ma semplicemente normalità, in virtù di come qualunque pregiudizio che presupponga che l'interlocutore debba rispecchiare sé stessi è una menzogna, poco edificante è osservare come la Chiesa Cattolica si sia ridotta a fare propaganda così spicciola. Difficile è sapere quale profonda ferita possa aver portato Moira a maturare una simile ferocia contro il creato, ma di certo non è tollerabile che la Cei permetta di ostentare quella sua frustrazione a danno del prossimo.
Ovviamente anche un bambino sarebbe capace di comprendere che se il medico chiede ad una persona se ha una ragazza, probabilmente nessuno risponderà di avere un ragazzo dato che ci si sentirà minacciati all'idea che l'interlocutore possa essere un integralista cattolico. Ed è dunque nella tutela di tutti che pare doveroso che il medico possa porsi in una condizione che permetta piena sincerità da parte del paziente, anche se Moira è fuori dalla porta mentre prepara legna da ardere per mettere al rogo chiunque non infili il suo pene in una vagina.
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