E se rispondessimo ad Adinolfi con le sue stesse parole?

La ferocia e il tenore della propaganda d'odio portata avanti da personaggi come Mario Adinolfi o Gianfranco Amato ha da tempo superato ogni decenza. Perché se è pur vero che il loro conto in banca cresce proporzionalmente agli effetti devastanti della loro promozione dell'intolleranza, è altrettanto vero che tutto ciò non avviene senza conseguenze: in ballo ci sono vite umane, quelle che rischiano di essere danneggiate da un Adinolfi che durante i suoi convegni invita i genitori a perseguitare i loro figli qualora non siano eterosessuali così come lui dice debbano essere (e sappiamo bene come le fantomatiche "terapie" da lui promosse abbiano già ucciso). E non sono da meno personaggi che Amato invita ad andare «in guerra» contro un intero gruppo social, creando quei fanatismi che ritroviamo sui social network quando i loro supporter minacciano di uccidere a fucilate una lesbica per il solo fatto di esistere.
Tutto quell'odio viene giustificato dietro ad una falsa «libertà di espressione» ma, se tale fosse, allora dovremmo presumere che loro sarebbero i primi ad accettare di subire ciò che vomitano a danno di gay e lesbiche. Ma è davvero così?
Pur di far parlare di sé, Adinolfi andò a dire ad un bambino che lui avrebbe voluto impedire la sua nascita e che reputava la sua mamma «una puttana» per il fatto di averlo messo al mondo. Se quella fosse davvero libertà di opinione, allora anche noi dovremmo poter fare illazioni su sua madre? E quando ha strumentalizzato il caso Varani per sostenere che i gay siano possibili assassini, possiamo sventolargli le pagine di cronaca per dirgli che in quanto eterosessuale lo si ritiene un pericolo per le sue figlie? Se poi considera come lui difese quel prete sardo che raccontava ai parrocchiani che i gay «meritano la morte», allora anche noi potremmo augurargli altrettanto? Probabilmente no, dato che dinnanzi alla sola ipotesi che non potesse essere eterno si lanciò in isterici rantoli in cui cercò di sostenere di essere stato minacciato di morte... figuriamoci se qualcuno lo facesse per davvero!
Ma dinnanzi a simili contraddizioni, sappiamo bene come Adinolfi ami sfruttare la religione per il suo tornaconto, sostenendo che il suo agitare rosari e crocefissi lo solleverebbe dal rispetto delle regole civili. Non a caso ai tempi si lanciò immediatamente nel sostenere che «i gay vogliono censurare san Paolo» e «la sodomia è un peccato gravissimo e mortale». Praticamente come il suo secondo matrimonio.
Ammesso e non concesso che si voglia sostenere che il fanatismo religioso debba valere più della legge civile, la sua stessa teoria ci legittimerebbe a giudicarlo con il suo stesso metro di giudizio. E se sappiamo che dinnanzi a Dio risulta ancora sposato con la precedente moglie e che la sua seconda figlia risulterebbe il frutto di una peccaminosa lussuria consumata in un tempio di Satana come Las Vegas con una donna che non deve poter assolutamente essere considerata sua moglie perché lui una moglie ce l'ha già... e non è quella che sta nel suo letto! Una frase terribile da dirsi? È vero, eppure non è dissimile dal suo attacco a quei bambini che chiede non possano veder riconosciuti i propri diritti perché lui sostiene che «una mamma ce l'hanno» ed è a lei che dovrebbero rivolgersi anche se non è stata lei a crescerli.
Di pari passo, così come lui vorrebbe togliere i figli ai gay, con le medesime (e assurde) rivendicazioni, anche noi dovremmo poter chiedere che anche al frutto del suo peccato sia tolta ogni dignità civile e giuridica così come lui chiede sia fatto agli altri. E se per condannare i gay Adinolfi deve cercare di decontestualizzare alcune frasi di san Paolo, per condannare il suo divorzio basterebbe citare direttamente le parole pronunciate da Gesù. E nemmeno il Catechismo che lui ama sfruttare per creare odio pare tenero verso di lui, dichiarando al punto 2382 che «il Matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte», così come il punto 2384 afferma che «il divorzio è una grave offesa alla legge naturale». Tesi discutibile in virtù di come appare assurdo si chiede di protrarre matrimoni in cui i continui si odiano o in cui è presente violenza, ma è quanto si potrebbe sostenere se ci si volesse abbassare al livello di Adinolfi per sfruttare la credenza popolare.
Gli esempi poi non mancano. Se i suoi seguaci sostengono che citare il Levitico basti a condannare i gay, forse dovrebbero provare a leggerlo per scoprire che riserva punizioni anche contro il loro leader. Levitico 18-23 parla addirittura di morte: «Nel caso che qualcuno faccia una qualunque di tutte queste cose detestabili, le anime che le fanno devono essere stroncate di fra il loro popolo».
E alla fine si torna sempre lì: se le regole con cui Adinolfi giustifica il suo odio non paiono valere se i medesimi criteri di giudizio vengono riservati a lui, allora quella non è una regola ma una violenza. E alla stessa maniera pare incontrastabile che sia veramente facile poter prendere versetti della Bibbia o documenti papali per poter attribuire loro il significato che più fa comodo, perché una lettura parziale e incoerente da la possibilità di poter sostenere tutto e il contrario di tutto.
Non pare un caso se nei Vangeli Gesù abbia detto ai suoi discepoli che i precetti delle scritture non dovevano interessargli tanto quanto le parole che uscivano dalla loro bocca, così come disse a loro che il più grande di comandamenti era quello di amarsi gli uni e gli altri, non certo di arruolarsi in un "esercito" integralista con lo scopo di "fare la guerra" ai diritti altrui. Qualcuno di loro ha pure provato a giustificarsi sostenendo che amare l'altro possa significare riprenderlo se è in errore, ma oltre a mancare la prova del presunto "errore" c'è un'evidenza che si mostra come il bene non potrà mai condurre morte, mentre ogni statistica evidenzia che gli atteggiamenti suggeriti dai vari Adinolfi siano spesso causa di morte, depressioni, alcolismo e suicidi.