Giorgio Ponte: «Le canzoni di Povia mi davano la speranza di poter smettere di essere gay»


Giorgio Ponte è uno dei personaggi più sfruttati dall'integralismo cattolico. È un uomo che si odia e si disprezza per la sua sessualità, che ama raccontare ai giornalisti quanto disprezzi i gay che non rinunciano a vivere la propria vita così come ha fatto lui, così come ama raccontare che l'omosessualità siia una malattia (anche se guardacaso la sua strenua frequentazione delle fantomatiche "terapie riparative" non ha cambiato la sua natura, semplicemente ha incoraggiato il suo disprezzo verso sé stesso).

In un'intervista rilasciata al sito ultra-cattolico Intelligonews, il professore di religione ha esordito raccontando come lui voglia credere a chi gli racconta che i gay possono "diventare" eterosessuali, orientando la sua definizione di omosessualità proprio su chi gli racconta teorie prive di ogni scientificità. Afferma:

Le ragioni per cui non sopporto questa etichetta sono almeno due. Una è semantica, di significato: “gay” significa appartenere a un’ideologia che ha fatto dell’attrazione sessuale un’identità, una natura a parte rispetto a quella maschile o femminile, immutabile (almeno quella omosessuale) e indiscutibile più del sesso biologico; “omosessuale” invece è un termine scientifico che è nato per definire una persona che prova attrazione per il suo stesso sesso, e che oggi viene arbitrariamente e volutamente considerato come sinonimo di gay. Io posso essere definito una persona omosessuale solo nell’accezione originaria di questo termine: insomma io “sono” omosessuale, in quanto “ho” attrazione per lo stesso sesso. Utilizzo questo termine riattribuendogli il significato che ha avuto per quasi cento anni di storia della psicologia, lo stesso che utilizza Richard Cohen (ex omosessuale, oggi nome di spicco della terapia riparativa), nel suo libro “Riscoprirsi Normali”.

Rasentando il tragicomico, l'intervista passa poi a chiedere «la riabilitazione artistica all'Ariston di Povia» in virtù di come il cantante accompagni Gianfranco Amato nelle sue conferenze omofobe. Ovviamente l'intervistatore dà per scontato che l'omosessualità sia una malattia nel sostenere che «creò scandalo e polemiche parlando dell'origine dell'omosessualità». Ovviamente il riferimento è alla canzone "Luca era gay" con cui Povia si lanciò nel sostenere che esistessero cure per l'omosessualità, salvo poi essere escluso dal Festival dopo essersi intascato i soldi raccolti per i bambini del Darfur con la sua canzone sui piccioni. Dice Giorgio Ponte:

Io non credo che Povia abbia bisogno di essere riabilitato sul palco dell’Ariston. Credo che per lui si più importante poter continuare a dire quello che dice ovunque voglia dirlo, come in qualsiasi democrazia che si rispetti. Tra l’altro anche lui ha molte più cose da dire, e su molti più di temi di quante non ne abbia dette con quella singola, bellissima canzone. E anche per lui, se la gente vuole sostenerlo, allora dovrebbe ascoltare le sue canzoni. Ordinare i suoi album, organizzargli concerti. Perché quella voce che ha fatto bene a tanti non si spenga. Nel 2009 avevo ventiquattro anni e, come molti, piansi ascoltando “Luca era gay”. Qualcuno finalmente lo diceva, qualcuno aveva il coraggio di raccontarlo: l’omosessualità non è un’identità. Ha una ragione, dice qualcosa di noi: dice di una mancanza; dice il nostro bisogno di scoprirci uomini in relazioni d’affetto con altri uomini; dice il nostro bisogno di amicizia vera, un valore raro in questo mondo di solitudini ipersessualizzate. Nessuno ricorda mai che, nonostante tutte le polemiche, “Luca era gay” alla fine arrivò seconda classificata. Ma quell’anno c’era il televoto diretto. Questo significa che la gente "normale" aveva votato per Povia, lo aveva compreso. La maggioranza ha capito, perché ha riconosciuto in quella storia una bellezza e una verità che non offendevano nessuno, ma solo davano Speranza. Uno dei motivi per cui ho accettato questa intervista è stato il desiderio di restituire pubblicamente a Povia la mia gratitudine per quello che ha fatto.

Evidentemente ignorando l'esistenza della bisessualità, Ponte cerca di sostenere che se delle persone che si credevano eterosessuali prendono coscienza di provare attrazione per persone dello stesso sesso, allora "per forza" anche un gay deve poter diventare eterosessuale così come lui vorrebbe essere:

La confusione è lo scopo di questa battaglia ideologica: tutto è vero e niente e vero, in nome di una libertà sradicata dal concetto di limite. Se “essere” omosessuali vuol dire “avere” attrazione per lo stesso sesso, allora si può essere ex omosessuali perché un’attrazione sessuale può cambiare. Se essere omosessuali vuol dire che questa è un’identità innata allora non si può essere ex omosessuali, per il semplice fatto che una simile identità non esiste. Nessuno è omosessuale in modo prestabilito e immutabile, come nessuno è eterosessuale in modo prestabilito o immutabile. L’unica identità esistente è scritta nel nostro corpo: noi siamo maschi e femmine.
Il problema è se la fluidità viene attribuita anche al corpo. Che l’orientamento sessuale sia sottoposto a variazioni, è un dato di fatto. Che noi nasciamo per una sessualità binomica maschile-femminile è un altro dato di fatto, altrimenti ogni specie si sarebbe già estinta.

E se dunque lui crede sia un miracolo che l'umanità esista ancora nonostante l'omosessualità esistesse prima di lui e continuerà ad esistere anche dopo di lui, Ponte sostiene che bisognerebbe prendere come un dogma l'obbligo di portarsi a letto una donna per chiedersi come mai si sia sbagliati. Afferma:

La domanda da porsi è: allora perché proviamo emozioni contrarie al nostro corpo? Qui non si tratta nemmeno di dare una risposta piuttosto che un’altra: questo sistema vuole impedire la domanda in sé stessa. Vuole uccidere la spinta esistenziale tipica di ogni essere umano a voler capire chi è.

Immancabile è poi un riferimento alla signora De mari, ossi quella tizia che va in giro a dire che i gay non sarebbero normale e che gli iscritti al Mario Mieli di Roma siano dei «simpatizzanti della pedofilia e degli escrementi». Nuovo punto di riferimento per gli integralisti affami di odio, viene esaltata anche da Ponte con il suo affermare:

In molti oggi osannano (o odiano) la De Mari per le sue recenti dichiarazioni. Non entro nel merito, ma mi viene da pensare: io la De Mari la conosco da anni perché scrive libri stupendi che mi hanno fatto bene al cuore. Possibile che la gente si accorga di lei solo se parla di sesso anale? Possibile che questa battaglia fratricida ci abbia portato a questo? A permettere che una frase o un’intervista, o il modo di pensarla su un argomento identifichi la totalità di noi? Questo è quello che fanno gli attivisti gay, spesso fratelli manipolati. Ma chi è cristiano, chi ha fede, o banalmente chi è solo onesto intellettualmente, può essere più di queste semplificazioni.

Sarà, ma se una signora scrive un proclamo, perché mai andrebbe giudicata per un libri di draghi ed elfi anziché per il concetto che ha esposto? E in che modo ciò la dovrebbe sollevare dalla responsabilità penale di aver accusato di pedofilia delle persone che (giustamente) non tollerano simili insinuazioni?
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