Provita difende l'uso politico della diffusione di bufale sul web


Il gruppo d'odio di Toni Brandi si batte incessantemente per difendere i reati omofobici e qualunque violenza contro i gay. Ma l'ideologia del gruppo diviene tragicomina nei rantoli di Francesca Romana Poleggi, capace di firmare articoli come quello intitolato "Psicoreato, censura, fine della libera informazione?".
Come da tradizione dell'integralismo brandiano è la creazione di paure ed isterie finalizzate ad ottenere ritorno politico a sostegno dell'estrema destra, la Poleggi scrive:

Abbiamo rischiato che lo psicoreato di “omofobia” fosse istituito con la proposta di legge Scalfarotto.
Se passa il disegno di legge N.2688 presentato in Senato in questi giorni da Gambaro, Mazzoni, Divina e Giro, e tanti altri sottoscrittori, di quasi tutte le parti politiche (ce ne sono anche della Lega e di Forza Italia) sarà esso più che sufficiente per introdurre lo psicoreato tout court. Non è necessario neanche essere “omofobi” per essere condannati. Basta pensare. E soprattutto esprimere un pensiero difforme, basta sollevare una voce non allineata con il mainstream del politicamente corretto.

Difendendo la pubblicazione di notizie bufala che spesso il loro gruppo ha diffuso con l'obiettivo di creare odio contro interi gruppi sociali, aggiunge:

E’ vero, girano anche tante bufale. Ma la gente non è così stupida, in fin dei conti. E sa difendersene, e sa discernere. Anche perché la miglior difesa è proprio il pluralismo delle fonti: basta un link per controllare, verificare, risalire…

Se così fosse, nessuno crederebbe alla propaganda di Provita, ma la Poleggi pare sapere che il loro citare Dio o l'avere l'appoggio di preti collusi è lo strumento con cui riescono a ingannare i lettori con fantomatiche "ideologie gender" o patetici "psicoreati".
Ma è nella negazione di come esistano numerose notizie create a tavolino al solo fine di ingannare i cittadini, è con una vera e propria negazione della realtà che la Poleggi difende il "diritto" di mentire a fini politici. Dice:

La “diffusione di notizie false” : quali notizie sono false? Quelle diverse dalla “versione ufficiale”? Quelle che possono “fuorviare settori dell'opinione pubblica“, cioè che possono indurre a pensare “fuori dalla via” indicata dagli imbonitori di Stato? [...] Non solo: l'art. 1 dice «notizie false, esagerate o tendenziose». Che vuol dire “esagerate”? Intanto significa che anche le notizie vere, se “esagerate” non si possono dare. Ma esagerate rispetto a cosa? Basterebbe questo per mandare in galera chiunque.
E non parliamo delle “campagne d’odio”: saranno sicuramente considerate tali le petizioni – per esempio – contro le adozioni gay o contro l'utero in affitto.

Contro la proposta, la Poleggi cuta quell'Enzo Pennetta che collabora con loro nella creazione di odio omofobico. E fa pensare come gli integralisti si citino a vicenda per far cercare personaggi che possano appoggiare le loro tesi.

Osserva Pennetta: «Poiché la libera informazione ha prodotto i suoi effetti quando una serie di testate che si sono conquistate la fiducia dei lettori negli anni hanno cominciato a convergere nei giudizi dando origine ad una massa compatta di persone informate e determinate che poi sono andate a votare [per es. per il nostro referendum, per non parlare delle elezioni americane], lo scopo è adesso quello di bloccare le notizie che compattano settori significativi di opinione pubblica … Si potrà ancora dare delle notizie, ma purché restino voci isolate e non disturbino il regime».

E aggiunge la Poleggi:

Scrivevamo circa un mese fa in “Gender, aborto, psicoreato e censura su internet” che sarebbe orgoglioso dei suoi “discepoli” Nikolaj Ivanovič Ežov, ex capo dell'Nkvd (Narodnyj komissariat vnutrennich, Commissariato del popolo per gli affari interni ), dal 1936 al 1938. E’ stato lui l'ideatore dell'ipotesi di reato dell'art. 58 del Codice penale dell'URSS. Il reato di “attività controrivoluzionaria“, definito in modo assai vago, in modo che poi i giudici potessero usarlo per condannare ogni forma di dissenso e spedirla nel Gulag.
Era, insomma, il reato di opinione (fu Orwell in 1984 che poi lo definì “psicoreato“): il divieto non solo di parlare, ma anche di pensare cose diverse da quello che che imponeva lo Stato.
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