Scrive al sacerdote perché è gay e vuole morire. Lui risponde: «I gay meritano la morte»
Nella rubrica "un sacerdote risponde" curata dal sacerdote domenicano Angelo Bellon sul sito "Amici domenicani", troviamo lettere che fanno venire la pelle d'oca al solo pensiero di come l'omofobia della Chiesa possa distruggere intere vite. Nella lettera pubblicata, leggiamo:
Reverendo Padre Angelo, le scrivo per sottoporle un quesito molto privato, ma del quale può pubblicarne il contenuto, se ritiene che possa essere di conforto anche per altri, che sono nella mia stessa situazione. Detto senza mezzi termini, non so più come far convivere la mia fede con la mia omosessualità. Sin da bambino ho provato particolare ed esclusiva attrazione (solo estetica negli anni pre-pubertà) verso i miei coetanei del medesimo sesso. Tuttavia ho sempre cercato di vivere da cattolico e reprimere l'esercizio di tale orientamento.
Nella pubertà, poi, quando si è fatto evidente, ho cercato di respingerlo con ogni mezzo: Rosario e Messa quotidiana, contemplazione fino alle lacrime, ho provato anche penitenze corporali e addirittura a giurare sulle Scritture, perché Dio me ne liberasse. Ma quel giuramento diventò solo un peccato quando non lo seppi mantenere. Dopo qualche anno di continua sofferenza, non solo non ottenni nulla, ma mi innamorai anche di un mio coetaneo ed ebbi le mie prime esperienze. Non mi stupirei che chi legga questo ne rimanga schifato se è etero, come quei due sacerdoti dai quali mi confessai in quel momento; i quali mi risposero di abbandonare la cattiva strada per orientare la mia sessualità verso il gentil sesso... Peccato che questo sia praticamente impossibile... La cura rimasta è una e se non funziona sei perso.
Mortificatosi al punto da sostenere che la sua natura debba creare ribrezzo in sedicenti "cristiani" che passano le loro giornate a giudicare e condannare il prossimo, l'autore della lettera arriva a sostenere di aver desiderato la morte:
Ovviamente lasciai quel ragazzo, per amore di Dio e amore suo, per obbedire al primo e non infettare col mio peccato il secondo. Pregai Dio di condannare me per quel peccato e non lui, ormai di me non me ne importava più nulla. Pregai anche perché Dio, se fosse stata la sua volontà, mi facesse morire in stato di grazia e il prima possibile, affinché non fossero prolungate le mie sofferenze. Ma se ora le scrivo è perché, a quanto pare, non fu nei suoi progetti il concedermi tale sollievo.
Forse penserà che una simile frustrazione venga dalla mia omosessualità, e che questa può generare solo tali cose, ma la mia angoscia veniva dalla contraddizione di amare qualcuno più di me stesso e al contempo amare anche Dio sopra me stesso, ma non poter conciliare le cose per ciò che afferma la Santa Romana Chiesa Cattolica in proposito. E volendole essere obbediente in tutto, rinunciai alla felicità, che per me non sarebbe stata contraddittoria, cioè vivere la mia omosessualità e la fede in Dio.
La lettera (che qui può essere letta integralmente) inizia a mettere in discussione alcuni dogmi contro l'omosessualità, sottolineando anche come alcuni passaggi biblici usati dai fondamentalisti anti-gay tendano a condannare la violenza più che la sessualità in sé. Il tutto sino ad arrivare a concludere:
L'amore che Cristo mi concede nella preghiera è immenso e se solo mi concedesse di andarmene da questo mondo, fosse anche l'inferno, a me basterebbe che ci sia Lui. L'esperienza dice ciò che i concetti non possono sequestrare. Ora che ho gustato la gioia di appartenergli non potrei vivere che da cattolico e al limite potrei passare la vita a fare finta di odiarlo, rimanendo come colui che aspetta l'amato e non osa più chiedergli perdono. Tuttavia la Chiesa mi offre una sola possibilità: non poter esprimere negli atti la mia sessualità. Quale vocazione di vita mi rimane? Non mi prenderò sicuramente gioco né del Sacramento del Matrimonio né di quello dell'Ordine, quando sento in me forte il desiderio di amare un compagno. Non mi rimane che morire, o vivere infelicemente per la carne (con Dio, ma senza un compagno) o per lo spirito, (con un compagno, ma senza Dio) e dato che certi dualismi sono eresia, non mi rimane che morire o vivere interamente nell'infelicità. Preghi per me, Padre, perché io non ne ho più la forza.
La risposta del sacerdote (nella foto a lato) è agghiacciante ed permeata di ferocia. Padre Angelo Bellon pare non prendere neppure in considerazione l'ipotesi di rassicurare il lettore, preferendo elargire condanne di morte contro quello che presenta come un errore di dio che deve essere corretto in base ai pregiudizi degli uomini.
La premessa è che la Chiesa sia tanto buona da non vietare ai gay di esistere, purché rinuncino a vivere e rinuncino a vivere l'amore che Dio ha donato loro ma che crea fastidio a padre Bellon:
Carissimo, nessuno proibisce l’amicizia con una persona dello stesso sesso. Ma altro paio di maniche sono gli atti omosessuali che contraddicono l’intrinseco significato di quegli stessi atti. I sessi non sono fatti per congiungersi in quel modo. Per questo certi atti sono detti contro natura.
Criticando un passaggio in cui l'interlocutore ha sostenuto che non tutti ciò che è nella fuori norma deve essere necessariamente visto come un qualcosa di negativo, il sacerdote pontifica:
Il paragone che fai con un’intelligenza superiore alla norma non tiene. Infatti l’intelligenza superiore alla norma non contraddice il significato dell’intelligenza, ma lo realizza in maniera più profonda. Essere super dotati nell’intelligenza, non è nella norma, ma non è contro natura. Mentre gli atti omosessuali non solo non sono normali, ma contro natura.
Ed ancora, il sacerdote sostiene non vi sia alcun dubbio riguardo al fatto che Dio odi i gay e che le Scritture debbano essere lettere in una chiave di condanna dell'omosessualità, ossia con modalità non dissimili da quelle che giustificazioni i più grandi crimini della storia (dal rogo delle donne, alla persecuzione dei mancini e dalla condanna di chi osava sostenere che la Terra non fosse piatta al ricordo ai brandi ella Torre di babele quale giustificazione alla segregazione razziale). Nella sua risposta, il sacerdote rincara le sue condanne morali scrivendo:
Non sto a ribattere tutte le obiezioni (perfino nei riguardi di Sodoma!) che si tirano fuori per dire che la Sacra Scrittura non condanna gli atti omosessuali.
È sorprendente questa cecità, probabilmente frutto della pratica sodomitica, che rende ragione di quanto san Paolo dice: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne. (…)
E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (Rm1,26-28.32).
Detto ad un ragazzo che si diceva desideroso di morire che San paolo preveda per lui la morte, il sacerdote si lancia anche in una opinabile carrellata di condanne morali basate sull'esaltazione dle Vecchio testamento in merito ai temi che riguardano i gay (e solo quelli, dato che alcuni di quei dogmi vennero screditati dallo stesso Gesù). Afferma:
A proposito di Sodoma l’autorevole Bibbia di Gerusalemme annota a Gn 19,5: “Il vizio contro natura, che trae il nome da questo racconto, era in abominio agli israeliti (cfr. Lv 18,22: “Non avrai con un maschio relazioni come si hanno con una donna: è abominio”) e punito con la morte (cfr. Lv 20,13: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro”), ma era diffuso intorno a loro (Lv 20,23: “Non seguirete le usanze delle nazioni che io sto per scacciare dinanzi a voi. Esse hanno fatto tutte quelle cose; perciò io le ho in abominio”). Non basta quest’affermazione?
Di San Paolo però non c’è solo il testo che ti ho citato. C’è anche quello da te menzionato dove si parla di “effeminati e sodomiti”. Ebbene qui San Paolo dice: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti…. erediteranno il regno di Dio” (1 Cor 6,9.10). I sodomiti vengono chiamati “arsenokoitai”, che nel dizionario base del Nuovo Testamento curato da B. Corsani (protestante), viene tradotto: “sodomita, maschio sessualmente depravato”. In latino “masculorum concubitores”. San Paolo non è Nostro Signore, certo. Ma la parola di San Paolo è Parola di Dio.
L’autore principale delle lettere di san Paolo è Dio. San Paolo è lo strumento umano di cui Dio si è servito.
San Paolo esprime la medesima dottrina anche in 1 Tm 1,10-11 dove la sodomia è condannata come una pratica “contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato”.
Lodando il personaggio biblico che fece stuprare le sue due figlie per impedire che gli abitanti di Sodoma potessero abusare di due stranieri (testimonianza di come evidentemente quelle persone non fossero così gay come all'integralismo piace sostenere), la condanna del sacerdote è implacabile:
Fai riferimento anche all’ipotesi di qualcuno, che arrampicandosi sugli spechi per negare ciò che è evidente, dice che San Paolo in Rm 1 condannerebbe l’inversione o la deviazione dall’eterosessualità all’omosessualità, ma non l’omosessualità come inclinazione psicofisica.
Ma questa distinzione, a parte la mancanza di fondamento biblico, non regge di fronte allo spirito della Scrittura che nella sua globalità è contrario all’omosessualità. Per questo il magistero ha dichiarato che “la dottrina della Chiesa non è basata su frasi isolate, da cui si possano trarre discutibili argomentazioni teologiche, ma piuttosto sul solido fondamento di una costante testimonianza biblica.
L’odierna comunità di fede, in ininterrotta continuità con le comunità giudaiche e cristiane all’interno delle quali le antiche Scritture furono redatte, continua a essere nutrita da quelle stesse Scritture e dallo Spirito di verità di cui esse sono Parola. È egualmente necessario riconoscere che i testi sacri non sono realmente compresi quando vengono interpretati in un modo che contraddice la tradizione vivente della chiesa.
Per essere corretta, l’interpretazione della Scrittura dev’essere in effettivo accordo con questa tradizione” (Homoxessualitatis problema 5).
Ed è così che il sacerdote arriva a proporre una concezione medioevale della Chiesa, sostenendo che la tradizione debba essere vista come un volere divino che non può essere messa in discussione nonostante la storia sia costellata di errori di valutazione:
Il biblista M. Gilbert dice che “l’omosessualità è il flagello del paganesimo, e colui che crede nella Rivelazione non può trovare lì la via della sua vita” (Che cosa dice dell’omosessualità il Nuovo Testamento, cfr. O. R. 8.11.1996, p. 2). Per questo la Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Persona humana afferma che “le relazioni omosessuali sono condannate nella Sacra Scrittura come gravi depravazioni” (PH 8). Il CCC: “La tradizione catechistica ricorda pure che esistono peccati che gridano verso il cielo”. Indiscutibilmente questa è la dottrina di sempre della Chiesa.
L'assurdo ci porta ad osservare come un prete che è parte di una Chiesa che organizza festini delle sacrestie o che cura la prostituzione delle parrocchiane pare non aver dubbi riguardo al suo sostenere che il fine ultimo del cristianesimo sarebbe quello di impedire agli altri di poter far sesso:
Infine dai per buona l’asserzione di chi dice che alcuni Santi sarebbero stati omosessuali.
Ma anche ammesso questo, che è tutto da dimostrare, l’inclinazione omosessuale non è un peccato.
Il che sta a dire che anche coloro che hanno tali tendenze possono giungere a vertici di comunione molto alta con Dio. Ciò che ostacola la santità e la vita di grazia non è l’inclinazione omosessuale, ma il peccato. Per questo anche tu con la castità puoi diventare un grande santo.
Te lo auguro di cuore, perché solo così potrai essere pienamente felice, a dispetto di coloro che si definiscono gay (felici) ma che dentro di sé provano un’amarezza tale da chiedere non di rado a Dio (come è capitato anche a te) di togliere loro questo supplizio chiamandoli direttamente all’altra vita. Non è la presenza del compagno con relativi atti che fa star meglio, ma solo una vita santa, vissuta secondo Dio.
Interessante è osservare come padre Angelo paia sapere che le sue condanne morali possano spingere le persone al suicidio, ma spergiuri che la divinità che lui adora sia un essere talmente spregevole da volere la morte di chiunque non corrisponda ai dogmi di una nuova "razza ariana" teorizzata da chi ha paura che la felicità altrui possa essere una minaccia per il proprio potere temporale.
Curioso è come il sacerdote non paia così intransigente quando qualcuno gli scrive per domandare se «le figlie di Lot peccarono facendo sesso col loro padre per avere dei figli». In quel caso il sacerdote sostiene che a Lot dovesse essere concessa &lquo;qualche attenuante»dovuta all'ubriachezza e che comunque la colpa era dei gay dato che «questo fatto mostra a quale grado la corruzione dei Sodomiti fosse penetrata nella famiglia di Lot, il quale aveva voluto scegliere in mezzo ad essi la sua dimora».