Monsignor Antonio Livi offre il suo incondizionato appoggio alla veglia di preghiera contro i gay


"Signore, perdona quei luridi gay che osano essere diversi da me, massima espressione della razza ariana". Sono più o meno questi i toni della preghiera contro i gay organizzata da un tale "Comitato Scopelli" in concomitanza con il gay pride di Reggio Emilia. L'evidente obiettivo è quello di creare una falsa contrapposizione tra la Chiesa e i gay a vantaggio dei pariti politici di estrema destra e di quella Russia che finanzia l'omofobia come anello di congiunzione tra l'integralismo islamico e quello cristiano.
E se la curia ha timidamente negato l'oro l'uso della cattedrale cittadina, a correre sui giornali per esimere il suo pieno appoggio a quell'uso violento delle religione è monsignor Antonio Livi, un sacerdote 78enne che risulta decano emerito della facoltà di Filosofia dell’Università pontificia lateranense.
Monsignor Livi sostiene che sia necessario discriminare alcune famiglie perché altrimenti le altre si auto-distruggerebbero per una qualche imprecisata motivazione. Evidentemente lui reputa che l'unione tra un uomo e una donna non potrebbe mai esistere se la legge non prevedesse privilegi esclusivi che devono essere negati a chi decide di condividere la propria vita con persone dello steso sesso. E in quella violenza che vede schiere di preti e di integralisti pronti ad improvvisarsi giuristi pur di sostenere che una Costituzione nata dopo l'epoca fascista includerebbe distinguo di stampo fascista al suo interno, il sacerdote spergiura nel nome del suo abito talare che «la Costituzione dice che la Repubblica tutela la famiglia fondata sul matrimonio naturale, non altre forme».
Ed è sempre inneggiando a distinguo fascisti che il sacerdote si lancia pure nel sostenere che la legge Cirinnà non debba essere rispettata perché lui crede «che sia anticostituzionale». Ed ancora, dice anche che «questa manifestazione vuole fare una riparazione a Dio offeso da una manifestazione pubblica che esalta l’unione gay come bene comune quando non la è. Lo Stato, invece, la impone come valore da difendere ed è sbagliato. Se dal punto di vista politico vince la maggioranza in parlamento, su quello sociale si può dibattere e combattere».
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