Avvenire parla addirittura di un «caso Staranzano» dinnanzi al capo scout gay che il parroco vorrebbe cacciare


A Staranzano è successa una cosa molto semplice. Il parroco del paese ha chiesto al gruppo scout ospitato nella sua parrocchia di cacciare a pedate uno dei loro educatori perché gay. La Comunità Capi ha ascoltato le sue lamentele e gli ha risposto che il ragazzo restava lì al suo posto. Forse in cerca di vendetta ed incapace di accettare un rifiuto, il sacerdote si è rivolto a dei giornali cattolici nella certezza che lì avrebbe sicuramente trovato gente che smaniava dal desiderio di essere il primo a scagliare la pietra.
Di tutta la vicenda fa riflettere come il sacerdote abbia diffuso nomi, cognomi e dati sensibili di un ragazzo nell'evidente tentativo di aizzare la comunità contro di lui, così come opinabile è il suo aver dichiarato che il ragazzo fosse un'ottimo educatore ma che lui non lo voleva perché unito civilmente con un altro uomo. Si fosse trattato di uno che andava a letto con un tizio diverso ogni sera, allora i ragazzi glieli avrebbe anche affidati, ma intollerabile era un impegno così stabile e monogamo che rischiava di minacciare i suoi più perversi e reconditi pregiudizi.

Dinnanzi a tutto ciò, lascia basiti come Avvenire parli addirittura di un «caso Staranzano» nel continuare a rimestare la vicenda quasi come se avesse davvero senso domandarsi se un gay possa fare l'educatore o se lo si debba emarginare perché sgradito ai gruppi integralisti. E fa riflettere anche come l'articolo paia propendere per questa seconda ipotesi nello scrivere:

Un capo scout “celebra” un’unione civile con il compagno. Il parroco ne sollecita le dimissioni alla luce delle sue responsabilità educative. Il viceparroco frena. La comunità si divide. Il clima è pesante. Ma, dopo una ventina di giorni, l’intervento dell’arcivescovo spiazza tutti. Rifiuta il ruolo del giudice, non assolve e non condanna. Ma invita la comunità a riflettere insieme per capire se, anche da un avvenimento così divisivo, si possono cogliere aspetti di grazia.

In perfetto stile democristiano, l'arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, pare aver cercato di stare con i piedi in due scarpe dinnanzi alle lamentele del parroco. Lamentele che, peraltro, paiono assai fuori luogo dato che l'arcivescovo non ha alcuna competenza o peso nelle decisioni interne all'Agesci.

A quel punto Avvenire si affretta a premettere che Staranzano sarebbe stato «teatro di una vicenda che che un tempo si sarebbe definita pruriginosa» prima di sostenere che «Prendendo spunto dagli Atti degli Apostoli, e in particolare dalla descrizione del Concilio di Gerusalemme –in cui ci si trovò a decidere come organizzare la convivenza tra i cristiani provenienti dal giudaismo e quelli convertiti dal paganesimo– Redaelli propone di seguire la stessa indicazione. Ascoltare lo Spirito, senza pretendere di trovare ricette preconfezionate nelle Scritture o nella tradizione canonica». Citando come premessa l'insegnamento di Carlo Maria Martini, il vescovo arriva ad affermare che:

Se è vero che non bisogna mai rinunciare a proporre l’ideale evangelico «sapendo ben distinguere le diverse situazioni di partenza » è altrettanto vero – annota ancora il vescovo di Gorizia – «non indulgere a facili giudizi e non sostituirsi alla responsabilità di ciascuno». Sarebbe facile concludere che il discernimento è quasi un mezzo per rendere accettabile ogni scelta e azzerare ogni istanza etica. Invece è proprio vero il contrario. Tanto che Redaelli, proseguendo nel suo elenco degli aspetti di grazia, spiega che anche per quanto riguarda l’amore, «i diversi modi di sentire diffusi oggi, pur avendo aspetti di verità, sono spesso riduttivi ». E quindi non bisogna temere di definire “riduttivo” il luogo comune secondo cui «ciò che conta è che due persone si amino, a prescindere da chi sono, dagli impegni che hanno assunto, dalla responsabilità verso altri e anche dalla qualità del loro amore».

Il tutto per giungere a sentenziare:

Da qui la necessità di accostarsi a tematiche (come appunto l’amore omosessuale) con umiltà, tanto più «quando si è di fronte a questioni nuove e complesse» sulle quali la riflessione ecclesiale non è del tutto matura e i pareri sono diversi. Lo stesso criterio che deve adottare l’Agesci – conclude Carlo Roberto Maria Redaelli – che ha la necessità di «proporre oggi determinati valori con un approccio diverso rispetto al passato». Vale in particolare per il tema degli affetti e per altri temi «che fino a poco tempo fa non erano neppure quasi ipotizzabili». La scelta insomma non tocca al vescovo con un intervento autoritario dall’alto, ma alle stesse realtà ecclesiali operanti in ambito educativo che, lungo questo percorso di discernimento sicuramente non facile, devono «giungere ad alcune indicazioni condivise e sagge».

Curiosa è però l'interpretazione dei fatti descritta dal quotidiano dei vescovi in calce al loro articolo. Evidenziano una difficoltà oggettiva anche solo nell'uso dei termini, affermano:

Quando all’inizio di giugno, Marco, uno dei capi scout del locale gruppo Agesci, ha deciso di fare outing con il compagno Luca Bortolotto, consigliere comunale, “celebrando” un’unione civile in municipio, nessuno nella piccola comunità di Staranzano – settemila abitanti in provincia di Gorizia – si è stupito troppo. Gli orientamenti del capo scout non erano un mistero, anche se l’uscita allo scoperto ha obbligato il parroco, don Francesco Maria Fragiacomo, a criticare la scelta sul bollettino parrocchiale: «Come cittadino ognuno può fare quello che gli consente la legge dello Stato. Come cristiano, però, devo tener conto di quale sia la volontà di Dio sulle scelte della mia vita. Come educatore cristiano, in più, devo tener conto della missione e delle linee educative della Chiesa e della mia associazione cattolica». Da qui la richiesta a Marco di fare, «per coerenza» un passo indietro. Richiesta che non è stata condivisa né dal viceparroco don Eugenio Biasol, guida spirituale degli scout, presente alla cerimonia come amico dei due giovani, sia dall’Agesci Friuli Venezia Giulia che un post su Facebook ha ribadito la propria fiducia nei capi scout del Gruppo di Staranzano.

Premesso che nell'articolo di Avvenire il nome riportato comprendeva anche il cognome e tutti i dati necessari a rendere identificabile il capo scout messo (di fatto mettendo alla gogna un ragazzo che vive in una comunità locale molto piccola), pare stano che Marco abbia fatto coming out con il compagno solo prima di unirsi civilmente con lui. Magari ci sbaglieremo, ma se si sono conosciuti e frequentati, pare facile presumere che entrambi avranno saputo dell'orientamento sessuale dell'altro prima di ritrovarsi dinnanzi all'ufficiale di Stato Sivile.
Non è chiaro anche perché mai l'articolo dica che la volontà di criticare l'unione sul bollettino parrocchiale sia stata una scelta «obbligata». Considerato poi come il quotidiano dei vescovi non sia mai apparo troppo critico verso chi ha coperto casi di pedofilia dietro la scusa di vole proteggere la "privacy" del prete predatore, tale posizione diviene intollerabile.

L'articolo di Avvinare risulta firmato da Luciano Moia, noto per le sue posizioni anti-gay, compresa la sua strenua opposizione alla prevenzione del bullismo omofobico nelel scuole.
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