L'esperienza di Edoardo: «Una suora mi salvò da una terapia riparativa»


Un pregiudizio è sempre errato, da qualunque parte giunga. Ne parliamo con Edoardo che ha voluto condividere con noi un frammento della sua storia personale.
Una precisazione doverosa: tutti i nomi riportati sono nomi di fantasia e le dichiarazioni in prima persona sono frutto di una successiva ricostruzione. L’unico nome vero riportato è quello di Luca Di Tolve, personaggio vergognosamente noto.

L’esperienza di Edoardo ebbe inizio nel 2013, durante una lunga, tenebrosa e piuttosto pesante conferenza tenuta da Luca Di Tolve (“guru” dei sostenitori della validità delle terapie riparative dell’omosessualità). Ci andò come andava a qualsiasi iniziativa presa dalla comunità religiosa di cui faceva e fa tutt'ora parte. Rimase molto turbato da ciò che sentiva. La sua omosessualità faticava ad accettarla egli stesso, lo considerava un pensiero morboso, turpe, ripugnante. Figuriamoci l’ambiente circostante. Tutte quelle assurdità che sentì pronunciare da Luca Di Tolve e dalla relatrice al suo fianco gli sembrarono inesorabilmente vere. Del resto chi non si sarebbe sentito chiamato in causa? Le argomentazioni erano esposte in maniera talmente vaga da lasciar spazio a innumerevoli interpretazioni. La stessa logica con la quale vengono pensati gli oroscopi, per darvi un’idea. L’omosessualità concepita come il frutto di una vita familiare stressante (chi di noi non ce l’ha?) e di un rapporto forte con una madre protettiva (quale madre non lo è?). Edoardo si recò, al termine della conferenza, dalla relatrice al fianco di Di Tolve che, per somma sfortuna, possiede la qualifica di psicoterapeuta. Alla dottoressa Edoardo raccontò dei propri pensieri di natura omoerotica e di come essi fossero senz'altro frutto delle circostanze testé menzionate. Da quel momento iniziò un percorso molto lungo di psicoterapia nel quale Edoardo si sentì dire, a più riprese, di reprimere il suo desiderio sessuale evitando di visionare le immagini che normalmente guardava. Immagini il cui contenuto era in grado di generare in lui un misto di attrazione e disgusto. Un piacere a cui si sovrapponeva immediatamente un forte senso di colpa. L’alternativa, secondo la dottoressa, doveva essere quella di dedicarsi ad attività ricreative che potessero sostituire quel tipo di piacere.

Edoardo, dopo tre anni di “psicoterapia” però è successo qualcosa. Ce lo vuoi raccontare?
Sì, in pratica mi sono innamorato di Stefano, un ragazzo che frequentava la mia comunità con il quale avevo stretto un’ottima amicizia. Amicizia che desideravo, ovviamente, evolvesse in qualcosa di più forte. Speranza vana poiché lui era di orientamento e di vedute completamente diversi dai miei. Fatto sta che questa cosa mi destabilizzò e fu l’imbarazzo a mettere freno alle mie confidenze rivolte alla dottoressa. Confidarle l’innamoramento nei confronti di un ragazzo (oltre a determinare sicuramente reazioni negative e propositi terapeutici più marcati) mi avrebbe generato serio imbarazzo. Quindi entrai in confusione, mi sorsero molti dubbi e quell'amore non ricambiato fece da sfondo a una situazione in cui nemmeno io sapevo più cosa desiderassi.

Poi durante un viaggio conoscesti una persona…
Esatto, conobbi Suor Valeria.

Cosa le raccontasti?
Le dissi che mi sentivo in difficoltà a parlare di queste cose con quella dottoressa e che, secondo me, le sue finalità terapeutiche potevano turbarmi ancora di più. Suor Valeria mi disse che avrei dovuto abbandonare quella dottoressa e rivolgermi a uno psicoterapeuta suo conoscente che avrebbe saputo affrontare meglio la situazione. Così è stato. Tutt'ora il mio psicoterapeuta è lui e, a dispetto dello scetticismo iniziale, il percorso fatto assieme è ottimo e si è completamente distanziato da quello precedente. Il tentativo di eliminare l’omosessualità ha lasciato il posto a un mirato percorso di auto-accettazione di quello che, senza ombra di dubbio, è il mio orientamento sessuale.

Quindi Suor Valeria ti salvò da quel goffo tentativo di terapia riparativa?
Esattamente. Una suora mi salvò da una terapia riparativa… è la dimostrazione che i pregiudizi e le generalizzazioni sono sempre sbagliati. Da qualunque parte giungano.

Poi con lei hai avuto modo di fare coming out?
Mi ha fatto outing il mio psicoterapeuta. Lei l’ho incontrata di recente e mi ha detto che è felice del mio percorso e che per lei l’accettazione nei miei confronti non è mai mancata. Mi ha abbracciato dicendomi che è giusto essere quello che si è.


Nel ringraziare Edoardo per la testimonianza, vorrei ricordare ai lettori e alle lettrici che non vi è violazione della libertà personale nell’impedire a un operatore (psicologo, psicoterapeuta o psichiatra che sia) di proporre terapie curative dell’omosessualità. Il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi (CNOP) si è espresso più volte sulla dannosità delle terapie riparative e contro la concezione dell'omosessualità come malattia.

Alessandro Pinarello
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