Il Giornale si accoda ai vescovi in un attacco all'omogenitorialità


Alle volte si ha l'impressione che la vita umana venga considerata priva di persone da quelle fazioni politiche che amano giocare sulla pelle delle persone. Capita così che anche Il Giornale abbia deciso di promuovere le screditare teorie del reverendo Paul Sullins contro l'omogenitorialità, le stesse ossessivamente rilanciate dal quotidiano dei vescovi o dal periodico ciellino Tempi.
In un articolo di Claudio Risédi, dal titolo "Se i figli dei gay sono iperattivi, depressi e fragili", si parte fin da subito con un abuso di violette volte a svuotare le parole dal loro significato e toni canzonatori di chi vuol far subito capire da che parte sta. Scrive:

Come crescono i bimbi delle coppie omosessuali? Ottimamente, ci hanno assicurato i media in questi anni. Comunque molto meglio di quelli cresciuti in coppie etero, hanno ribadito esperti molto zelanti e terapeuti politicamente impegnati. Qualche intervistato più cauto ha provato a obiettare, ma chissà come mai il collegamento radiofonico (...) improvvisamente cadeva, tra scuse biascicate velocemente dall'intervistatore.Andava tutto veramente così bene? Non proprio. Che i metodi con cui i dati venivano raccolti fossero in parte poco attendibili lo si sapeva, ma appunto difficilmente si riusciva a comunicarlo perché ciò metteva in crisi il pregiudizio ottimistico del discorso sull'omogenitorialità. Per esempio ci si era accorti della frequente poca rappresentatività dei campioni scelti, sia per la poca consistenza numerica che per l'eterogeneità delle situazioni considerate. Tutte forme sia di «genitorialità» che di «filiazione» molto diverse, tra le quali occorrerebbe muoversi con grande attenzione e rispetto, senza cadere in generalizzazioni sommarie.

La premessa è dunque chiara. Il Giornale sostiene che chiunque debba poter dire qualunque cosa voglia contro i figli dei gay, mentre ovviamente si esige che nessuno possa fare altrettanto con gli etero (e non sarebbe neppure così folle domandandosi se i figli di un genitore integralista crescano peggio degli altri). Si arriva così all'affondo:

Questi problemi compaiono ora nella loro realtà e complessità nel serio e accurato studio Omogenitorialità, filiazione e dintorni. Un'analisi critica delle ricerche della psicologa Elena Canzi, ricercatrice del Centro studi e ricerche sulla famiglia dell'Università Cattolica di Milano, presentato da Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli.

Se appare poco etico l'approccio di quella Elena Calzi che ha deciso di non condividere le sue perplessità sulla metodologia degli studi con il mondo scientifico per preferire la vendita di un libercoletto destinati a diventare una hit tra i gruppi neofascisti e integralisti, immancabile spunta il nome del reverendo Sullins quale personaggio che dovrebbe permettere di ritenere che i figli dei gay crescano peggio (e poco importa se la sua unica tesi è che le difficoltà nascerebbero dall'omofobia e dagli attacchi degli integralisti. Scrive Il Giornale:

Come sempre nell'esistenza umana, che ha un tempo limitato tra un inizio e una fine, è proprio il tempo a fornire i dati più critici. È infatti all'età media di 28 anni, all'inizio del quarto settennio, quando è definitivamente conclusa la fase per certi versi eroica dell'infanzia-adolescenza e si entra nella maturità, che compaiono in questi figli i più problematici (finora) segni di difficoltà. Si tratta del disturbo caratteristico di tutta la nostra epoca, quello depressivo, la cui incidenza «cresce in modo esponenziale dal 18% in adolescenza al 51% in età adulta, mentre nel gruppo di figli di coppie eterosessuali diminuisce nel tempo di due punti percentuali con un valore in età adulta pari al 20%». Un dato questo, finora non rilevato, facendo per decenni di loro delle Invisible victims, «vittime invisibili», come li chiama Paul Sullins, autore del recente studio, pubblicato nel 2016. Naturalmente la depressione in età adulta è per queste persone solo un rischio, non un destino. Ma qui la frequenza è maggiore. Potrebbe magari cambiare più avanti, in rilevazioni successive: non possiamo saperlo oggi. Ma è per questo che le certezze finora spacciate per verità scientifiche su di loro, anche da cattedratici, si rivelano solo cattiva propaganda. Del resto, non potevano essere certezze, semplicemente perché mancava il tempo per trarre conclusioni. E i genitori omosessuali avrebbero ragioni di protestare contro presentazioni fatte così superficialmente dell'esperienza esistenziale loro e dei loro figli.

Insomma, i gay non dovrebbero poter pensare di poter essere bravi genitori se un qualche eterosessuale non gli ha detto che può valere quasi quanto lui. O, almeno, così suggerisce l'articolo.
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