Cascioli mette a frutto l'omofobia coltivata negli anni per attaccare il pontificato di Francesco


Riccardo Cascioli non conosce il capo scout di Stezzamo che è oggetto dei suoi continui attacchi, ma è sulla base del suo mero pregiudizio che si permette di raccontatore ai suoi lettori che lo si dovrebbe condannare a priori perché gay e pure deciso a condividere il resto della sua vita con il compagno. Insomma, non solo non aderisce ai suoi dogmi sulla penetrazione vaginale si donne cristianameente sottomette al maschio, ma è pure un ragazzo che non può essere strumentalizzato per cpontinuare a dire che i gay sono tutti proomisqui dato che solo il vero maschio cristiano sarebbe chiamato al matrimonio indissolubile (ovviamente fatta accezione per le due moglie di Adinolfi, le numerose compagne di Salvini, le olgettine di Berlusconi e via discorrendo... ma loro sono ovviamente assolti perché sono saliti sul carro di chi vuole giudicare gli altri senza essere giudicati).
Sempre attento a seminare zizzania mediante spergiuri che gridano vendetta al cospetto di Dio, è sulla Nuova Bussola Quotidiana che pubblica un vergognoso articolo in cui si afferma:

“Prudente audacia”. Ecco il nuovo paradigma confezionato da Avvenire per dare una spallata inavvertita all’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Un neologismo ossimorico che deve riassumere il nuovo approccio della Chiesa italiana dove le parole peccato e disordine morale non esistono più e dove l’accompagnamento, da sempre indicato dalla Dottrina come cammino indispensabile verso la castità, diventa di fatto uno sdoganamento dello stile di vita gay. A farsene portavoce è il quotidiano dei vescovi che ieri ha alzato il tiro con due pagine fitte fitte confezionate da Luciano Moia e il vescovo di Parma Enrico Solmi in qualità di ex presidente della Commissione episcopale per la pastorale familiare e coordinatore nella sua diocesi di alcune esperienze sul tema. A far da contorno numerose lettere pubblicate dal quotidiano dei vescovi in cui, con toni e accenti spesso opposti Avvenire dà spazio alle opinioni dei lettori sul caso di Staranzano.

Emessa la sua inappellabile sentenza di condanna contro la vita altrui, si passa ad una condanna di tutti quei vescovi che non aderiscono al suo pensiero unico per la creazione di una nuova religione basata sull'uso di Dio come giustificazione a qualunque forma di odio, discriminazione e sottomissione.
Ma in quella che ha tutta l'aria di rappresentare una guerra di potere, Cascioli pare voler mette a frutto quell'omofobia che usa costantemente come strumento di reclutamento di seguaci per attaccare il concorrente Moia e un papato che sta progressivamente togliendo potere ai vescovi riconducibili alle lobby integraliste. Morto Cafarra e messo da parte Burke, tutto l'odio seminato contro il prossimo rischia di non poter più essere tramutato in potere e dominio sulle masse, motivo per cui i siti di una certa area politica stanno da tempo inneggiando allo scisma.

Nel consueto stile propagandistico delle testate di Cascioli, troviamo un articolo che parla di «stile di vita gay» a fronte di quello che è semplicemente un orientamento sessuale. Ma si sa che per chi trae potere dal minacciare punizioni divine, è fondamentale tentare di sostenere che le persone debbano essere colpevolizzate per la loro natura. Ed è così che l'integralista si scaglia con inaudita ferocia contro l'adolescente di Stezzano, ricostruendo con toni assai opinabili la vicenda:

A Staranzano, in provincia di Gorizia, il locale capo scout è convolato a unione civile con il suo compagno. Il parroco, don Francesco Maria Fragiacomo si è chiesto se non fosse il caso per lui di lasciare l’incarico educativo vista la scandalosa condotta di vita e il fatto che continuasse a fare la comunione indisturbato. Ne seguì un duro dibattito, culminato con un intervento del vescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, riassumibile così: «Ascoltare lo Spirito, senza pretendere di trovare ricette preconfezionate nelle Scritture o nella tradizione canonica».
Risultato: il parroco è stato silenziato e il capo scout, Marco Di Just, non solo può continuare a fare come se nulla fosse successo, ma a settembre è stato anche riconfermato nello staff delle guide.

L'articolo prosegue così nella sua inumana ferocia nel parlare di una «scelta» in relazione all'omosessualità, giungendo poi all'affondo in cui il ciellino spiega che Ratzinger sarebbe sicuramente stato meglio di Bergoglio, evidentemente perché più integralista e più vicino ai loro interessi politici. Dicono:

Ma il cuore dell’operazione editoriale del giornale dei vescovi sono i due articoli di Moia e di Solmi. Nel primo il giornalista indica come punto di partenza il paragrafo 250 di Amoris Laetitia per arrivare a dire: «Occorre tenere presente quello che il Papa dice, ma ancor di più quello che non dice». Che cosa vuol dire? Semplice: secondo un’ermeneutica del tutto arbitraria Moia si rallegra del fatto che l’esortazione post sinodale non citi più la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, nella quale il cardinal Ratzinger apriva ad un percorso di castità per gli omosessuali e il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1997, dove nell'affrontare il problema dell’omosessualità, le relazioni e gli atti non si risparmia nel defnirle oggettivamente disordinate o peccati. Secondo Moia, il fatto che al paragrafo 250 Papa Francesco pur avendo citato parti di questi documenti, non abbia fatto riferimento al disordine morale non può essere considerato certo un vita libera, ma nemmeno una dimenticanza. E allora? Allora entra in campo il discernimento, parola passe-partout dei tempi moderni che sembra aver preso il sopravvento su tutto.

Anche qui le parole chiave hanno un peso. L'omosessualità che veniva spacciata per «una scelta» viene ora riproposta come «un problema», cavalcando la sua smania di giudicare il prossimo in evidente contrasto con le predicazioni di Gesù contenute nei Vangeli. E chissà se Cascioli abbia mai letto quei passaggi o se si limiti a brandire la Bibbia come se fosse u'arma di offesa. fatto sta che Cascioli non risparmia ai suoi lettori la sua "verità", raccontando loro che:

Inutile spiegare che il 250 di AL è rivolto soprattutto alle famiglie di persone con figli omosessuali, il tono del prelato è sempre il solito dell’accoglienza, non per “riscrivere la dottrina”, però tenendo presente che “a volte i preti hanno ferito” o che “a volte la comunità cristiana non è stata esente da pregiudizi e giudizi superficiale”. Si fa strada così un senso di colpa collettivo nel quale la pratica omosessuale viene svuotata del suo portato disordinato, per diventare un qualche cosa di indefinito, senza mai essere proposta come variante naturale della sessualità, ma nemmeno come peccato. La parola d’ordine per i vescovi è ora discernere e riflettere, non più insegnare e guidare.
Completamente assente l’aspetto educativo della faccenda di Staranzano: non c’è nessuna valutazione sul fatto che il messaggio educativo di un capo scout che vive con un compagno sia deleterio per i giovani che in questo modo percepiscono una equiparazione tra la condotta di vita naturale e quella in unione civile, snaturando di fatto il matrimonio tra uomo e donna, come dettato da legge naturale ancora oggi.

E se Cascioli pretende pure di definire come funzioni la natura mediante la negazione della natura stessa, è in combutta con il parroco omofobo che il sito ciellino dice ai suoi lettori che essere gay deve necessariamente essere ritenuto «un male». In un esplicito invito all'odio, afferma:

Don Francesco Fragiacomo ha letto la pagina di Avvenire con un misto di soddisfazione e dolore: «Soddisfazione - spiega alla Nuova BQ - perché finalmente Avvenire fa parlare anche i lettori, cosa che in precedenza non aveva voluto fare, ma dolore perché non si continua ad affrontare correttamente il problema: per fare un buon discernimento devi capire prima qual è il bene e qual è il male, devi avere una chiarezza di qual è l’ideale di bene, invece da questi articoli si allude al fatto che va bene un unione tra uomo e un uomo».
Per provare a farsi intendere il sacerdote fa un esempio mutuato dal campo medico: «Per fare una buona cura devi fare una buona diagnosi e per fare una buona diagnosi devi sapere dov’è la parte sana e dov’è quella da curare». Aggiunge «che qui non c’è stato nessun accompagnamento e nessun discernimento tanto è vero che il capo scout è ancora al suo posto indisturbato, anzi: l’unico discernimento che hanno fatto quelli dell’Agesci è stato con la locale sezione dell’Arcigay!”.

Rinfoderando i termini coniati da Silvana De Mari per negare l'esistenza stessa dell'omosessualità, l'articolo sentenzia pure che:

Senza solidarietà, senza possibilità di farsi ascoltare, don Fragiacomo considera ora la naturale conclusione del caso Staranzano come prodromica ad uno sdoganamento tout court della pratica omoerotica per via pastorale: «Siccome nella Scrittura c’è la condanna dell’omosessualità, se adesso non dici più che è peccato, la conclusione è che il Vangelo è vecchio e non è adatto ai tempi di oggi. Quindi bisogna farsi un Vangelo plasmato sull’uomo. Mi chiedo soltanto questo: se si “ricaccia” Gesù in un tempo passato, come appunto un uomo del suo tempo, tutto diventa relativo, perché verranno meno i criteri oggettivi”.

E la condanna quale sarebbe? Chissà, forse citeranno quella Sodoma o Gomorra che nella realtà storica era una condanna per la mancata accoglienza verso gli stranieri. O magari sceglieranno quel san Paolo che non conobbe mai Gesù e che predicava che donne dovessero starsene zitte se nelle vicinanze c'era un uomo? Ma qualunque tentativo porti questi personaggi ad appellarsi a dei versetti decontestualizzati al fine di promuovere odio contro un'intera comunità, tale atto li rende molto simili a chi giustifica nel nome della religione chi getta i gay dai tetti dei palazzi o chi lapida a morte le donne.
2 commenti