Gianfranco Amato a Radio Padania: «La Chiesa è schiava dello stato. I vescovi che non condannano l'amore gay è come chi tacque davanti al Terzo Reich»


Caso vuole che durante l'ospitata di Gianfranco Amato a Radio Padania, tutte le telefonate passate in diretta fossero effettuate da suoi proseliti. Tra chi diceva di essere presente in prima fila al suo "family day" contro le unioni civili o chi asseriva di seguire la sua propaganda dalle pagine de La Nuova Bussola Quotidiana, troviamo interventi di chi è parso capaci di affermare che «è evidente che la famiglia è sotto attacco. C'è un attacco antropologico soprattutto durante la crescita dei bambini con l'ideologia gender. Qui siamo tutti d'accordo».
Appare così evidente che si ha a che fare con personaggi che ripetono a pappagallo degli slogan, spesso dimostrando di non averli manco capiti appieno. E tra loro non è mancato neppure chi ha attaccato un Vaticano che, a loro dire, non avrebbe fatto abbastanza per impedire che le famiglie gay potessero avere diritti simili a quelli ancor oggi risultano riservati ai soli eterosessuali.
Gianfranco Amato ne ha approfittato per attaccare l'attuale pontificato, asserendo che «Lo dico con un pizzico di dolore perché mi sento figlio della Chiesa, ma oggettivamente la Chiesa italiana, in questo momento, non è la Chiesa che abbiamo conosciuto fino a Bagnasco». L'accusa, ovviamente, è quella di non praticare un'aperta ingerenza nella politica italiana nella promozione della discriminazione di interi gruppi sociale.
Il lungo monologo di Amato prosegue con l'affermare: «Io ho una mia idea che tempo sia drammaticamente reale che è molto pragmatica. Credo che il problema vero sia l'8 per mille. Il potere è entrato a gamba tesa e ha detto che se voi Chiesa intervenite su questi temi -vita, eutanasia. nozze gay- vi ridiscutiamo il finanziamento pubblico della Chiesa E questo è un concetto molto importante perché tocca il concetto stesso di libertà della Chiesa. Perché una Chiesa che dipende da Cesare, risponde a Cesare. E questo non va».
In realtà la separazione dei poteri fra Stato e Chiesa impedirebbe qualunque ingerenza nella politica, motivo per cui è buffo ci si lamenti che la Chiesa dovrebbe avere la libertà di minacciare e ledere la vita di interi gruppi di cittadini mentre lo Stato dovrebbe tacere dinnanzi a quella violazione dei suoi principi costituzionali.
Ma ovviamente Amato preferisce sostenere che «stiamo vivendo una dittatura» o che chi non condanna l'amore di due gay per sostenere la supremazia dell'eterosessualità debba essere ritenuto come quei vescovi che tacquero dinnanzi al Terzo Reich. Ebbene sì, per più l'eneima volta nel medesimo comizio, Amato prova a sostenere che l'amore altrui sia da considerare una forma di nazismo contro chi, come lui, vorrebbe vietare quel sentimento perché rappresenta un ostacolo al suo teorizzare che la sua attività sessuale lo renda parte di una nuova "azza ariana" che deve poter beneficiare di maggiori diritti civili e sociali.

In conclusione Amato si lancia nel sostenere che Radio Padania sia come Radio Londra, asserendo poi che «il problema numero uno del nostro Paese è la sopravvivenza del popolo italiano» perché l'Onu avrebbe approvato un progetto che mirerebbe alla «sostituzione mediante immigrazione» in cui alcune proiezioni sosterrebbero che «alla fine del 2050 dovranno essere 35 milioni gli immigrati che ci sostituiranno». Sfoderando il suo consueto vittimismo, afferma pure che «se tu lo dici sei un omofobo, un intollerante, un razzista... ti succede quello che è successo al povero Giuseppe Povia con quella sua canzone che dice esattamente questa cosa qui». Ed ancora, spergiura che «se prendete il trend dell'immigrazione, corrisponde al centesimo a quanto è stato programmato 16 anni fa con questo documento dell'Onu che si intitola Replacement Migration. Anceh il titolo è molto sintomatico».
A voler prendere per buone le sue asserzioni, verrebbe automatico notare che se il trend dell'immigrazione è in linea con le proiezioni fatte 16 anni fa dalle Nazioni Unite, allora non si capirebbe in che modo esisterebbe quella fantomatica "invasione" di cui parla ossessivamente Salvini e la sua radio di propaganda. Ed anche in merito al documento citato da Amato ci sarebbe da notare qualche inesattezza: sfogliando quelle pagine, la sua inflessione di voce non lasciava intendere che il titolo includesse un punto di domanda. Il documento di intitola infatti "Migrazione di sostituzione: è una soluzione per la diminuzione e l'invecchiamento delle popolazioni?" e si prefigge di investigare il fenomeno premettendo che la «migrazione di sostituzione si riferisce alla migrazione internazionale che un paese necessita per compensare la diminuzione della popolazione e l'invecchiamento della popolazione dovuto alla bassa fertilità e alla mortalità». In altre parole, le persone che Amato non vuole sono le persone che potrebbero pagare la sua pensione in uno stato dove già oggi si assiste ad un continuo aumento dell'età pensionabile.
Un minimo di onestà intellettuale avrebbe richiesto la necessità di riportare il passo dei documenti in cui si osserva che «nel 1995-2000 si sono stimati 1,20 figli per donna, uno dei tassi più bassi del mondo. Dal 1950, la mortalità è diminuita costantemente, con conseguente aumento della speranza di vita per entrambi i sessi da 66 anni nel 1950-1955 a 77,2 anni nel 1990-1995».
E se Amato parla di «imposizione», nelle carte si esaminano semplicemente sei diversi scenari: nel primo si è ipotizzata la cessazione dell'immigrazione nel 2020, nel secondo la cessazione nel 1995, nel terzo un picco di 613.000 persone all'anno tra il 2025 e il 2030 e poi diminuendo a 173.000 all'anno nel 2045-2050 e così via. Insomma, pare buffo si possa sostenere che l'Onu abbi imposto qualcosa a fronte di un documento che analizza semplici scenari (compreso quello che avrebbe visto la fine dell'immigrazione oltre dieci anni fa). Ed è buffo si taccia anche sui passaggi del documento in cui si osserva che: «in assenza di migrazione, i dati mostrano che sarebbe necessario aumentare l'età lavorativa a 74,7 anni per ottenere un potenziale rapporto di sostegno di 3,0 nel 2050. Per mantenere nel 2050 il rapporto del 1995 di 4.1 le persone in età lavorativa per ogni persona anziana, l'età lavorativa dovrebbe essere innalzata fino ai 77 anni d'età entro il 2050».

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