Con Alfie si riattiva il business della morte attraverso false promesse ed inesistenti cure


Un bambino terminale è manna per i gruppi integralisti, da sempre in prima fila nello sciacallaggio delle loro vite e nello sfruttamento commerciale della sofferenza dei genitori. La morte vende e fa guadagnare tanti bei soldini (come dimostra il loro annuncio per imminente apertura di una sede extra-lusso nel centro della capitale). Per quanto sia lecito avere opinioni diverse sul fatto che un genitore debba poter infliggere inutili dolori ai figli se troppo egoista da accettare il suo bene quando delle macchine possono rallentare inutilmente il corso della natura, inaccettabile è chge si menta o che si spergiuri il falso con evidenti fini politici.

In un articolo di Giuseppe Fortuna, l'organizzazione di estrema destra non pare aver timore nell'alterare il senso delle parole e nel dichiarare che Alfie Evans sarebbe «il piccolo condannato a morte per eutanasia, la cui esecuzione è prevista per venerdì prossimo». Termini inesatti, usati ideologicamente per alterare la realtà dei fatti dinnanzi ad un bambino che è artificialmente tenuto in vita senza alcuna speranza di cura.

Ma ben più grave è come scrivano anche:

Il padre di Alfie, dopo la definitiva sentenza della CEDU, che non si è presa neppure la briga di analizzare il caso, aveva mosso un ultimo accorato e disperato appello alla Regina e a Papa Francesco perché intervenissero pubblicamente in difesa del diritto alla vita del piccolo e del loro diritto ad accudirlo e a sperare, tentando le cure proposte dall’Ospedale Bambin Gesù. Cure già offerte per Charlie Gard e, come per Charlie, negate dall’ospedale britannico.

Si sostiene dunque che la CEDU emetta sentenze senza manco guardare le carte, così come si giura che tutti i medici di Londra siano dei perfetti imbecilli dato che gli ospedali vaticani avrebbero miracolose cure per qualunque malattia rara non conosca cura. Insomma, o stanno mentendo o il Vaticano dovrebbe essere accusato di aver tenuto nascoste notizie sanitarie di vitale importanza per altri bambini.
Tra le righe torna anche quel sostenere che l'accanimento terapeutico sarebbe "diritto alla vita", anche se tale asserzione dovrebbe imporre rispetto per chi crede che l'agonia e la sofferenza provocati artificialmente siano una violazione del diritto ad una morte naturale. Anche Gesù è morto sulla croce mentre con un respiratore avrebbe potuto soffrire molte più ore.

In un crescendo di violenza ideologica, scrivano anche:

Alfie Evans è stato condannato a morte dall’ospedale Alder Hey di Liverpool dove è ricoverato (per una malattia degenerativa misteriosa). La condanna è stata confermata dai giudici di Sua Maestà Britannica e anche dalla Cedu, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha sede a Strasburgo, e che evidentemente non riconosce diritti né ad Alfie, né ai suoi genitori: forse perché non li ritiene esseri umani.

La frase è un controsenso, dato che se se Alfie non fosse ritenuto umano, nessuno avrebbe motivo di battersi per il suo bene anche contro l'egoismo dei genitori. Una strumentalizzazione a cui aggiungono pure il loro spergiurare che:
Alfie non sta morendo. La sua salute è stabile. Sta crescendo, prende peso, risponde.

Sul serio, dinnanzi ad una gravissima malattia degenerativa e ad un neonato tenuto in vita artificialmente sono capaci pure di dire che il bombo non stia morendo. Non solo, lamentano pure che:

Gli Evans hanno anche chiesto all’ Alder Hey se potevano portare Alfie a casa con le strutture e l’assistenza privata (senza oneri per la collettività): gli è stato negato anche questo, come per Charlie Gard.

Come nel caso di Charlie Gard, l'ospedale non si sogna neanche lontanamente di sottrarre un bambino in quelle terapie del dolore che richiedono una struttura ospedaliera. Permettere ai genitori di portare il bambino a casa significherebbe permettergli di perpetrare dolorosissime torture al bimbo (torture che paiono assai gradite a quelli di Provita Onlus, forse più intenzionati a sostenere che i bimbi siano una proprietà ad uso e consumo dei genitori piuttosto che pensare ai diritti del minore).

E come se tutto viò non bastasse, sui social scrivono anche questo:

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