Provita Onlus insulta le femministe ed altera le loro affermazioni contro il diritto di scelta delle donne


Dato che lo stato italiano di poter decidere se destinare il proprio 5 per mille alla ricerca sul cancro o alla promozione dell'odio omofobico, l'organizzazione integralista Provita Onlus sta facendo qualunque cosa pur di apparire sui giornali, presumibilmente interessata ad ottenere i soldi dell'ultra-destra. Il loro messaggio promozionale è chiaro: se odi i gay, se disprezzi le donne o se provi piacere nel vedere i bambini stranieri che affogano nel Mediterraneo, basterà finanziarli e loro giureranno che sia Dio a volerlo.
Incurante di ogni evidenza statistica e sociale che mostra come la legge sull'aborto abbia contribuito a ridurre gli aborti, Toni Brandi ama ricorrere al più bieco populismo nel lanciare slogan semplici e semplicistico che possano catturare l'attenzione. Ad esempio spergiura che basterà vieterà l'aborto perché nessuno abortisca più, anche se sappiamo bene che prima dell'introduzione della legge il numero di aborti clandestini era di molto superiore al numero di aborti legali odierni. In fondo la sua tesi dovrebbe portarsi a sostenere che sia l'aver vietato le droghe abbia reso l'Italia un Paese in cui non esiste spaccio di stupefacenti (ma sappiamo che la realtà non è certo quella. Anzi, la realtà statistica ci dice che in altri stati sia stata l'abolizione del proibizionismo ad aver permesso di salvare un numero maggiori di vite).

Ricorrendo al consueto vittimismo dell'integralista e sbraitando contro la libertà di scelta di chi non si genuflette alla loro volontà, su Facebook l'organizzazione piagnucola:

I sei maxi manifesti di Provita affissi a Perugia stanno scuotendo le coscienze e per questo danno fastidio ad alcune associazioni, come «Non una di meno», secondo la quale «lo slogan dei cartelloni criminalizza le scelte di maternità consapevoli».
Sì, avete proprio letto bene l’assurdità delle nuove accuse contro Provita. Invitando a chiedere la rimozione dei maxi manifesti, l’associazione che si definisce «antisessista, antirazzista, antifascista», conclude con altre assurdità: «Ad oggi, come più di quarant'anni fa, sembra quindi necessario ribadire che vogliamo educazione sessuale per decidere, la contraccezione per non abortire, l'aborto per non morire!».
Per far morire il bimbo in grembo, invece sì?

Da prasi, l'organizzazione tenta di alterare i fatti attraverso un uso di parole inappropriate. Il feto viene spacciato per un bambino e si dice che l'altrui pensiero debba essere considerato un'assurdità. Naturalmente omette anche di contestualizzare le frasi citate, preferendo estrapolare parole prese a caso. L tesi è sempre quella: la donna deve partorire a forza, mica deve poter decidere. Ma, soprattutto, non vuole l'educazione sessuale nelle scuole o c'è il rischio che la femmina non venga ingravidata e non possa essere costretta a produrre bambini.

Il testo integrale della loro citazione decontestualizzata è questo. Curioso che Brandi si sia dimenticato di dire che il virgolettato citato non sia attribuibile alla fonte citata ma sia la citazione di uno slogan delle donne argentine (il che ci spiega perché si parli di poter essere uccise):

Per questo il 22 maggio, quarantesimo anniversario della legge 194, sarà un nuovo giorno di lotta.
Un cartellone di 7x11 metri, raffigurante un feto accompagnato da uno slogan che criminalizza le scelte di maternità consapevole, è comparso sul fianco di un palazzo di Via Gregorio VII, alle spalle di San Pietro.
Questa è solo l'ultima delle provocazioni che gli antiabortisti lanciano a Roma. Pochi giorni prima dello scorso 25 novembre, mentre la città si preparava ad ospitare l'oceanica manifestazione contro la violenza maschile sulle donne di Non Una Di Meno, manifesti sui muri annunciavano “sei milioni uccisi dall'aborto”.
Siamo qui perché una donna ci ha partorito, senza dubbio, e speriamo non costretta dalle circostanze.
In Italia, la battaglia per la legalizzazione dell'aborto, ottenuta dalle lotte femministe con la legge 194/1978, ha affermato una cultura differente della sessualità e della maternità. Ma ancora oggi non tutte le donne possono scegliere di abortire con dignità. L'obiezione di coscienza negli ospedali pubblici, la limitata e quasi nulla somministrazione della RU486, lo smantellamento dei consultori pubblici, rendono umiliante, faticosa, a volte addirittura impossibile, l'interruzione volontaria di gravidanza nei termini di legge e con le tutele dell'assistenza sanitaria pubblica.
La situazione diventa ancora più difficile, penosa e rischiosa nei casi di aborto terapeutico, circostanza in cui la valenza punitiva dell'obiezioni di coscienza raggiunge il suo apice. Il caso di Valentina Milluzzo, morta a 32 anni tra dolori atroci perchè un medico obiettore ha rifiutato di interrompere la gravidanza, è emblematico. È anche per lei che ci aspettiamo che il Comune di Roma assicuri la rimozione immediata di manifesti lesivi della dignità e dei diritti di tutte le donne.
La crociata fondamentalista dei movimenti per la vita va avanti da quando in Italia si è legalizzato l'aborto ed è animata dall'odio per le donne. L'obiettivo non è la difesa della “vita”, un principio sacro quanto astratto, ma criminalizzare le donne per sottrarre loro potere e controllo sulla riproduzione e trasformarle quindi in strumento procreativo.
Fare un figlio per obbligo è violenza, la maternità imposta è un retaggio proprietario sul corpo femminile che vorremmo superato nella storia e nella cultura.
La strada da fare è ancora lunga, non solo in Italia. Sono tanti i paesi nel mondo in cui l'aborto rimane illegale e produce morte e violenza e quelli dove le leggi ottenute con le lotte delle donne sono minacciate. Da ora fino a maggio in Irlanda, Argentina, Polonia si giocano partite importanti per l'autodeterminazione delle nostre vite. Su questo terreno Non Una Di Meno continua la battaglia rilanciata dello sciopero femminista in un momento di forte connessione transnazionale tra movimenti delle donne.
Riprendendo il motto delle femministe argentine, “Vogliamo educazione sessuale per decidere, la contraccezione per non abortire, l'aborto per non morire”, anche in Italia Non Una Di Meno riapre la battaglia contro l'obiezione di coscienza e la piena introduzione della RU486, per il diritto alla maternità consapevole e tutelata, per il welfare e il diritto alla salute universali, per una sessualità libera, felice e senza obblighi.
Le nostre vite valgono. Per questo il 22 maggio, quarantesimo anniversario della legge 194, sarà un nuovo giorno di lotta.
Siamo e saremo sempre libere di scegliere!

nella foto Simone Pillon, il senatore legista che si batte contro i diritti delle donne, a sostegno della promozione dell'odio contro i gay e per il proliferare del razzismo. Chissà se sua figlia è nata perché voluta o se sia stata prodotta perché sua madre è stata obbligata a metterla al mondo. Checché lui ne dica, le due cose non sembrano equivalenti.
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