Quella di Provita è davvero «libertà di opinione» così come loro sostengono?


L'organizzazione forzanovista Provita Onlus ama giustificare la violenza della sua propaganda omotransofobica sostenendo la si debba ritenere una «libertà di opinione». Dicono che ci troveremmo dinnanzi ad un nuovo nazismo se Toni Brandi non potesse promuovere quelle fantomatiche "terapie riparative" che risultano la provata causa di numerosi adolescenti spinto al suicidio o se non potesse alterare le tesi delle sue vittime per chiedere leggi che ne limitino la libertà.
A detta loro, tutto sarebbe sempre e comunque «opinione», salvo qualunque tesi contraddica il loro pensiero unico dato che in quel caso sono i primi a rivolgersi agli avvocati di Gianfranco Amato per chiederne la censura (ad oggi non risulta che una loro causa sia mai risuscita ad andare in porto, quasi a sottolinearne un valore pressoché intimidatorio).

Ad esempio era il 29 maggio 2015 quando l'organizzazione di Toni Brandi pubblicò un articolo che mostra chiaramente come il vittimismo e l'auto-martirizzazione vengano usate come mezzo di propaganda per promuovere idee discriminatorie e falsità scientifiche. In quel caso di parlava di un professorino di religione che tentò persino di "curare" la sua omosessualità e, in virtù del disprezzo che provava verso sé stesso, si scrisse alla Sentinelle in piedi per giustificare la loro omofobia.
La scorrettezza dell'organizzazione forzanovista inizia quando cerca di convincere i propri lettori che l'opinione di quell'unico personaggio debba essere ritenuta un'opinione maggioritaria:

L’omosessualismo è un’ideologia perversa e veramente omofoba che appartiente a persone non necessariamente omosessuali. Anzi.
Molti omosessuali – la maggioranza silenziosa – non si riconosce affatto nelle istanze folli degli omosessualisti.
Si tratta di una maggioranza silenziosa, perché il coming out a queste persone può costare persecuzione mediatica, cyberbullismo, problemi sul lavoro… insomma si mette in moto la macchina della Gaystapo, come insegnano Dolce e Gabbana, e si arriva perfino alle minacce di morte, come nel caso di Rupert Everett.
Dobbiamo quindi dare atto del coraggio della verità mostrato dallo scrittore Giorgio Ponte, che qualche giorno fa ha scritto una lettera a Tempi.it, in cui parla molto chiaramente del problema.

Se nella neolingua integralista qualunque opinione contraria la loro pensiero unico viene indicata come una intollerabile minaccia, a tre anni da quell'articolo vediamo che Dolce e Gabbana continuano a poter dire tranquillamente qualunque cosa vogliono, semplicemente incontrano un lecito dissenso se qualcuno non è d'accordo con loro.
Riguardo ad Rupert Everett e alle presunte minacce, Provita si rifà a quanto sostenevano alcuni siti legati al fondamentalismo cattolico nel 2012 attraverso articoli che trasudavano di dietrologia e pregiudizi. E se è lecito esprimere un'opinione contro chi avesse eventualmente dovuto usare un linguaggio troppo violento verso l'attore, meno lecito è cercare di calpestare i diritti costituzionalisti di un gruppo sociale nell'accusarlo indistintamente di presunti fatti che si sarebbero verificati tra anni prima dall'altra parte dell'Oceano. Se poi a farlo è un'organizzazione che non ha trovato un solo minuto per condannare le minacce di morte che da mesi vengono quotidianamente recapitate ai Sentinelli di Milano o agli avvocati che difendono le loro vittime dalla ferocia della loro propaganda, pare si sia dinnanzi ad un falso ideologico. D'altra parte è vero che ogni forma di violenza verbale va condannata, ma tra chi si batte perché agli altri siano negati i suoi stessi diritti e chi difende il proprio diritto all'esistenza, pare facile comprendere chi sia la vera vittima.

Sostenuto che l'omosessualità debba essere considerata un «problema» o che la richiesta di pari dignità avanzata dai gay vada bollata come «folle», l'organizzazione inizia a riportare frasi del professorino di religione: «Sono stanco di sentire le associazioni gay parlare in mio nome su ciò che ritengono io dovrei pensare», dice. E dalla sua bocca fanno uscire il suo sostenere che una legge per il contrasto all'omofobia «avrebbe introdotto nel nostro ordinamento il reato di opinione». Ed è sottolineando come a lui piacciano i maschietti che giustificano l'intolleranza attraverso la frase: «Io esisto. E ora provate a dirlo a me, che sono omofobo».
Non è chiaro in che modo un gay non possa essere accusato di omofobia. Sarebbe come sostenere che il citare uno di quegli ebrei che stavano dalla parte dei nazisti dovessero bastare a sostenere che non ci fosse nulla di male nell'Olocausto.
Si passa così a frasi sempre più inaccettabili: «Dire che l’omosessualità ha delle cause psicologiche non è omofobia. Dire che assecondare ogni nostro desiderio non sempre porta alla nostra felicità non è omofobia. Se negli anni cinquanta non avrei potuto dire di provare attrazione per persone del mio stesso sesso, non è ammissibile che oggi io debba avere paura di dire che per me la famiglia può essere formata solo da un uomo e da una donna». Peccato che il sostenere che l'omosessualità abbia «cause psicologiche» è omofobia oltre che risultare una menzogna che nega l'evidenza certificata dall'Oms. Dire che battersi contro l'amore altrui perché si sostiene che gli altri non potranno essere felici se diversi da come Brandi pretende siano, è omofobia oltre che una violenza. E se negli anni cinquanta nessuno si stupiva se i neri venivano perseguitati, Ponte è certo che oggi un razzista dovrebbe poter pretendere siano fatti sedere sul resto dell'autobus?

Non c'è una sola argomentazione di quei motti che giustificano la ferocia omofoba, motivo per cui non si capisce dove starebbe quella fantomatica «libertà di opinione» con cui Brandi ama riempirsi la bocca. Se intende sostenere che chiunque debba poter mentire su tutto al fine di fomentare odio contro qualcuno, allora dovrebbe essere «libertà di opinione» anche l'andare in giro ad accusarlo pubblicamente di pedofilia pur senza avere prove. Sarebbe «libertà di opinione» il chiedere che si siano tolti i figli e che si neghi il suo diritto alla vita. Ogni forma di violenza sarebbe «opinione».
Ed il fine che loro stessi dichiarano è quello di giustificare quell'omofobia che loro sostengono non esista: «Da quando ho scelto di condividere la mia storia con altre persone ho capito che il novanta per cento delle attività persecutorie nei confronti degli omosessuali sono più nella testa dei gay, che non nei presunti “omofobi”. Forse, se gli attivisti gay la smettessero di frequentarsi solo tra loro e di andare in giro con il fucile spianato alla ricerca di potenziali nemici, potrebbero rendersene conto. Forse è sulla loro eterofobia che varrebbe la pena di riflettere». Certo, e magari perché non parlare di quanto fossero nazifobici gli ebrei rinchiusi nei campi di sterminio?

Ma se tre anni fa Provita sosteneva che il professorino sarebbe stato vittima di non si sa quale aggressione di fantomatiche lobby, curioso è che ad anni di distanza lo si ritrovi usato dal fondamentalisti per promuovere la Lega Di Matteo Salvini. Il suo nome etra tra i promotori della candidatura di Simone Pillon, libero lui di continuare a raccontare le sue storielle e liberi gli altri di poter dissentire. Dunque perché si cerca di far credere esistano false minacce solo perché si vuole cercare di demonizzare un gruppo sociale? È «libertà di opinione» o è diffamazione aggravata?
Appurato dunque che nessuno ha mai sostenuto che Giorgio Ponte non potesse raccontare le sue teorie, dove starebbe la fantomatica violenza della fantomatica «gaystapo» nel chiedere che un Toni Brandi non possa spacciare l'opinione di un singolo per il volere delle sue vittime. Il solo fatto che da anni non abbiano mai trovato una seconda persona disposta a sostenere teorie simile pare una chiara evidenza di come la sua opinione sia minoritaria. E l'opinione non può spacciare per verità rivelate false teorie scientifiche o generalizzazioni criminali che vengono vomitate senza alcuna argomentazioni ai gruppi che si battono contro la vita, contro le famiglie e contro gli affetti altrui. Senza prove non si può sostenere che i capelli rossi siano un chiaro segno di possessione satanica come sosteneva la Chiesa del Medioevo, allo stesso modo non è lecito sostenere che una naturale variante dell'orientamento sessuale possa essere ritenuta «patologica» solo perché Brandi non gradisce quelle persone.

Ma forse, al di là di tante parole, basterebbe guardare il banchetto che Provita ha allestito in Basilicata durante un comizio sponsorizzato da Fratelli d'Italia. C'è un modulo di raccolta firme proposto a fianco di volantini che cercano di fare terrorismo psicologico sui genitori attraverso curiose interpretazioni della Carta di Instambul, affiancata da dvd di un film della propaganda anti-gay russa in cui la voce del doppiatore dice cose diverse da quelle degli intervistati.
Commenti