Usa. Condannato a morte perché gay, i giurati temevano in carcere si sarebbe potuto divertire con altri uomini


Era l’8 marzo 1992 quando Charles Rhines si introdusse nel Dig’ Em Donuts di Rapid City, nel Soth Dakota, da dove era stato licenziato. La sua intenzione era quella di rubare il contante dalla cassa, ma venne sorpreso da un ragazzo di 22 anni che faceva il turno di notte. Rhines colpì il giovane con almeno due coltellate. Fu catturato poco dopo a Seattle e non ci sono dubbi sulla sua colpevolezza.
Eppure fa discutere il motivo con cui la giuria decise di proporre la pena di morte. Secondo alcuni di loro, infatti, il fatto che fosse gay gli avrebbe reso troppo piacevole un ergastolo da scontare in una prigione con altri uomini.

Venticinque anni dopo la sentenza, Charles Rhines è ancora vivo. Oggi ha cinquantasette anni e viene tenuto in costante isolamento. L'iniezione letale è stata rimandata grazie ad una serie di ricorsi, ma è nel 2016 che il suo avvocato scoprì come alcuni giurati sembrassero ossessionati dall'idea che avrebbe potuto far sesso con un altro uomo. «Tutti sapevano che era omosessuale e pensavano che non gli doveva essere concesso di trascorrere la sua vita in prigione con altri uomini», diceva un giurato. Secondo un altro «spedirlo in galera equivarrebbe a mandarlo dove vuole andare».
Da qui è partito un nuovo ricorso, appellandosi ad una sentenza del 2017 della Corte Suprema in cui, riferendosi ad un caso di giurati che in camera di consiglio avevano espresso giudizi razzisti contro gli ispanici, si sanciva che una persona deve essere condannata «per quello che fa, non per quello che è». E mentre La Corte Suprema ha rifiutato di riconsiderare la vicenda, cresce un ragionevole dubbio: Charles Rhines è stato condannato a morte perché omosessuale? Se fosse stato eterosessuale avrebbe avuto una sorte diversa?
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