Il Giornale chiede di poter insultare i gay in ode a quanto amino inzuppare il biscotto nella vagina


Alcune parole non dovrebbero neppure comparire sui giornali, eppure si Il Giornale si dedica spazio a chi rivendica il presunto diritto di poter denigrare e offendere gli altri attraverso il ricorso a termini volgari ed omofobi. A firmare l'assurdo articolo è Emanuele Ricucci, classe 1987, che di mestiere scrive per due testate di estrema destra come Il Giornale e Il Tempo.
L'esordio è già deprecabile, con una ricostruzione altamente ipocrita di fatti che il signor Ricucci pare aver colpevolmente omesso. Scrive:

Non tutti i froci sono uguali. C’è il frocio della Cirinnà, quello della maglietta “Meglio frocio, che fascista”, ovvero quello di sinistra, e poi quello di tutti gli altri, “purtroppo” non al livello di Nostra Signora della libertà sessuale. Perché il frocio della Cirinnà, fatto passare per una provocazione bonaria e di lotta sulla sua pagina Facebook, fa subito convivialità, simpatia e diritti?

In realtà quella fu la risposta alla frase: «Meglio fascista che frocio» che venne pronunciata in diretta televisiva dalla signora Mussolini, la tessa che oggi minaccia denunce verso chiunque osi criticare le opere di suo nonno (il duce). E c'è una certa differenza nel ribaltare un insulto o nel voler sbraitare parole offensive, in una logica in cui si fatica a comprendere come il signorino voglia ricondurre il tutto al suo sostenere che la destra verrebbe castrata nella possibilità di usare insulti rivolti a chi è vittima della loro discriminazione.

Sostenendo che lui ricorda i bei tempi in cui i gay dovevano nascondersi per non rischiare di essere linciati, uccisi o mutilati dai fondamentalisti, il 31 enne si mette a borbottare come un vecchio:

Bei tempi in cui la sessualità era una dimensione privata e non uno strumento di guerra ideologica. E in quanto voce significativa della propria intimità, tutelata profondamente. Quando la pudicizia era “un’invincibile attrattiva”, evocando Anatole France, e favoriva l’eros, non lo uccideva, generando fascino e ignoto, continuazione e curiosità. Ma rispetto. Eros che è più ampia dimensione dell’amore e del sesso. Contribuzione dell’immagine individuale e sociale di sé. Bei tempi quando la sessualità non veniva scagliata contro il pubblico ludibrio, o il nemico numero uno, per intavolare una conversazione come premessa fondamentale, per vincere le elezioni, manifestare superiorità o rilasciare patenti di civiltà.

Si passa così a sostenere che il bravo omosessuale dovrebbe votare un Pillon che trascorre ogni singolo istante della sua vita a promuovere odio contro i gay o un Salvini che chiedeva fosse vietato loro ogni riconoscimento familiare dato che lui si crede migliore nell'aver ingravidato una donna diversa per ogni suo singolo figlio. È dunque bieca demagogia chi sbraita contro la sinistra davanti ad una destar che non è al libello di quella europea: in Francia è stata la destra ad introdurre il matrimonio egualitario, in Italia pare non si possa essere di destra se non si è omofobi o razzisti. Eppure lui scrive:

Costoro forse dimenticano che l’omosessualità non è un giochino militante, una misura a chi ce l’ha più grosso, a chi deve avere più diritti, ma una vita che spesso ha popolato i loro quartieri perché aperti alla tolleranza e svincolati da ogni confine, specie geografico, da Pasolini a Sandro Penna, di cui proprio Pier Paolo Pasolini sostenne la virtù poetica, pensandolo come il più grande poeta lirico del Novecento. Quell’omosessualità che è legata comunque all’altra dimensione, quella dell’amore, è diventata carne elettorale e demagogica per troppi, incredibilmente ridotta a un presa per il culo, sminuita, brutalizzata a un’idea di partito: seguimi, votami se vuoi rivedere i tuoi diritti. Sempre a sinistra. Gli omossessuali oggi dovrebbero essere diversi, scegliendo di non avere un padre putativo nei seggi elettorali.

Si scade così nel vittimismo più ideologico:

La battaglia semantica, la quale, per sua natura, non è un esercizio di stile dei migliori a scuola, ma lo svilimento infame dei significati e, quindi, dei concetti, che porta ad una pericolosissima relatività da applicare a qualsiasi cosa si muova. Ridicola. Quanto ci si può sentire fuori luogo nel dire «avvocatA» o «presidentA»? O quanto dovrebbe sentircisi esibendo una maglietta con scritto “Meglio frocio che fascista”, ridendoci su, come ha fatto Monica Cirinnà? Ci spieghi culturalmente le sue battaglie per il mondo omosessuale, piuttosto. Ci racconti della carne, del sesso, della pulsione; ci parli dell’eros e della perversione, del suono della voce sussurrata nella nudità, dell’eccitazione, dell’adolescenza. Non solo di politica. Le giustifichi al mondo e non solo col sentore del SUO presente. Cerchi un’implicazione storica. E si ricordi di non avere, lei e l’altro, Zingaretti, quattordici anni. Perché frocio non è più amichevole se viene da destra o da sinistra, e che si fottano le classificazioni con cui si potrebbe, oggi, nomenclare l’archeologia degli uomini furbi. O è frocio per tutti, o per nessuno. O frocio, in ogni sua accezione, è il passato dei primitivi, o il presente degli ipocriti.

I frutti di tutto questo discorso appaiono evidenti tra i commenti:

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